NOTE DELL'AUTRICE: Questa storia è la realizzazione di un mio piccolo desiderio: colmare alcuni vuoti narrativi dell'anime, relativamente a "chissà cosa pensa André in questo momento, anche se non viene detto?" e "Chissà perché Oscar si comporta così".
La vicenda che segue, ricalca più o meno fedelmente (con qualche licenza) la storia raccontata dall'episodio 20 in poi, con alcuni salti temporali, visto che la storia è incentrata sui due protagonisti.
Ancora la fanfiction è in fase di lavorazione, pertanto non so dove la farò concludere. Per il momento, vi auguro una buona lettura, sperando che questo mio ultimo lavoro vi sia gradito.

 

UNA VITA

Capitolo Quinto

“Una nuova vita”

 

Aveva pianto tutte le lacrime che aveva in corpo e poi aveva vomitato. Il dolce ricordo della morbidezza delle sue labbra e del calore del suo corpo così vicino al suo, non aveva più importanza se pensava alla violenza che le aveva usato. L’aveva aggredita e l’alcol, la paura e l’infelicità nel suo cuore non giustificavano il suo atto. Qualcosa, dentro, gli si era letteralmente spezzato, nel vederla, dopo, spaventata da lui, che avrebbe dovuto proteggerla a tutti i costi e che l’aveva invece offesa col suo amore, troppo grande per essere rinchiuso, adesso che lei, ancora una volta, rifiutava la sua femminilità per colpa di qualcun altro[1] e destituiva lui, che aveva scioccamente creduto che la loro reciproca amicizia venisse prima dei loro posti nel mondo.

Non poteva fare più niente, ormai, e sperava solo in una parola di lei, che avrebbe potuto salvarlo.  

L’aveva vista uscire presto, la mattina dopo, e dire alla nonna che aveva voglia di fare una lunga cavalcata “da sola”, mettendo così bene in chiaro la sua intenzione di non portarsi l’attendente al seguito. E come avrebbe potuto biasimarla? Era terrorizzata di rimanere con lui da sola, immaginò, mentre gettava del mangime ai colombi nel cortile sul retro di palazzo Jarjayes. Non era un’occupazione usuale quella, ma doveva pur trovare qualcosa da fare per tentare di non pensare. Inutilmente. 

«André, devi dirmi dov’è Oscar!» 

Si voltò e vide il generale profondamente agitato. Aveva cercato Oscar per tutto il palazzo, pretendendo una spiegazione per quella sua insensata scelta di lasciare le Guardie Reale, incarico per il quale lui si era impegnato praticamente sin dalla sua nascita. Le notizie corrono veloci a Versailles. 

«Ecco.. ha detto che voleva fare una lunga cavalcata da sola»

«Una lunga cavalcata..?»

«Già» 

Era evasivo André, e il generale se ne accorse. 

«André?!»

«Si»

«Io sono più che convinto che tu sappia cosa passa per la mente di Oscar. Perché ha chiesto a Sua Maestà, la Regina Maria Antonietta, di non voler più far parte della Guardia Reale ed essere destinato ad altro incarico. Dimmi quello che sai»

«Mi spiace, signor Generale, ma con me non ha fatto parola al riguardo»

«André! Se io ti ho messo al suo fianco è semplicemente perché tu la proteggessi e le impedissi di fare delle pazzie»

«A me ha detto che non dovrò più occuparmi di lei, quando lascerà la Guardia Reale. Anch’io le ho chiesto perché, ma non mi ha risposto»

«Come?!» 

Che poteva saperne il generale del vero motivo che aveva spinto il suo adorato figlio a lasciare la Guardia Reale. E poi, cosa mai poteva pretendere? Aver cresciuto la figlia nella completa autonomia comportava certi rischi.. tipo quello che, prima o poi, fosse lei a decidere della propria vita e questo, al caro generale, non andava proprio giù.

Colse un segno di evidente stupore negli occhi del generale, nell’apprendere che aveva congedato definitivamente anche lui, e fu sollevato dallo scombussolamento causato che lo distolse dal chiedergli ulteriori spiegazioni.

A breve avrebbe dovuto raggiungere la reggia, suppose. Oscar non aveva ancora assunto il nuovo incarico e, fino a quel momento, come lei stessa aveva detto, sarebbe rimasto al suo fianco.

 

**

 

Sentiva l’eco dei propri passi decisi lungo uno dei tanti corridoi della reggia. Quando arrivò trovò un messaggero, pronto a comunicarle il suo nuovo incarico. 

«Oscar François De Jarjayes. A partire dal quindici aprile prossimo vi viene affidato il comando di un reggimento dei soldati della Guardia»

«Io con i Soldati della Guardia..»

«C’è anche un messaggio della regina Maria Antonietta per voi: attualmente l’incarico di comandante dei Soldati della Guardia è l’unico disponibile. Se non fosse di vostro gradimento siete pregato di informare sua Maestà»

«No, vi prego di riportare fedelmente quanto sto per dire a sua Maestà la regina: io la ringrazio dal profondo del cuore per aver avuto la gentilezza di accogliere la mia richiesta. Inoltre ditele che resterò per tutta la vita un suo fedele servitore». 

Non aveva potuto nascondere lo stupore di apprendere a che tipo di incarico era stata destinata: chissà perché era convinta di essere destinata ad una mansione completamente diversa e, soprattutto, lontano da Parigi, oltre che da Versailles; qualcosa, insomma, che le avrebbe stravolto completamente la vita, così come lei avrebbe voluto, e che l’avrebbe messa in condizioni in cui dare veramente prova di sé. Tuttavia era nient’affatto dispiaciuta e, in ogni caso, era riuscita ad ottenere la cosa fondamentale, cioè quella di non frequentare più la reggia.

 

**

 

«In onore del Comandante del Reggimento della Guardia Reale, fianco destro! Presentat arm!»[2] 

I soldati che aveva comandato per tutti quegli anni avevano reso omaggio al loro valoroso colonnello con un ultimo saluto ufficiale. Inizialmente sorpresi e notevolmente contrariati di essere agli ordini di una donna, avevano poi avuto modo di apprezzare, in più di un’occasione, le grandi doti del loro colonnello, che aveva fatto il suo dovere come e forse anche meglio di un uomo. Erano profondamente rammaricati per la sua decisione e un gruppo di loro, in testa Girodel, avevano raggiunto la donna nei suoi alloggi di servizio. 

«Comandante, perché questa decisione improvvisa di lasciare la Guardia Reale?»

«Mi dispiace, ma non posso dire i motivi» rispose la donna dando le spalle agli uomini mentre sfilava i guanti dalle mani.

«È stato forse per colpa di qualcuno di noi?»

«No, assolutamente no, signori. Anzi, vi ringrazio per la completa dedizione che mi avete dimostrato e.. e ringrazio soprattutto voi, capitano Girodel».  

Questo glielo doveva. Ricordava ancora l’umiliazione inflittagli tanto tempo prima, battendolo in quel duello il cui vincitore avrebbe ottenuto l’ambita mansione di Guardia Personale della regina. E, in tutti quegli anni, l’astio inizialmente malcelato di Girodel, a cui si era abituata a non dare peso visto che non le era mai interessato ciò che gli altri pensavano di lei, si era trasformato in sincero rispetto e collaborazione. 

«Comandante..! Vi preghiamo tutti di ritornare sulla vostra decisione. Desideriamo che restiate con noi alla Guardia Reale. I Soldati della Guardia sono molto più rudi e violenti delle Guardie Reali e io non credo che sia quello l’incarico che vi compete». 

Sembra che il destino non smettesse proprio di giocare brutti scherzi. Possibile mai che nessuno, persino Girodel, riuscisse a capire che lei non era una bambola d’esposizione ed era perfettamente in grado di gestire un reggimento, anche se rude e violento? Tutti continuavano a pensare, nonostante tutto, che lei era una donna e che, in virtù di ciò, non era in grado di essere alla pari come un uomo. Dannazione.

Si voltò bruscamente verso il gruppo di uomini, guardando negli occhi il capitano:

«Girodel, ho chiesto che siate voi ad assumere questo comando. Vi affido i miei soldati». 

E così dicendo, gli lasciò tra le mani la sua spada e, senza degnarlo di un ulteriore sguardo, se ne andò via, ignorando volontariamente le ulteriori richieste di rimanere al suo comando. 

Quando uscì dagli appartamenti destinati alle attività dei ministri, che le avevano rilasciato un documento da presentare nella nuova caserma in cui avrebbe preso servizio, il sole l’accecò per un istante, costringendola ad arrestarsi. Poi, a mano a mano che gli occhi vi si abituavano, continuò a camminare lungo il colonnato, verso la piazza d’armi di Versailles. Non avrebbe mai pensato di trovarlo lì ad aspettarla, con le briglie del suo cavallo tra le mani. Continuò a mantenere un contegno serio, mentre si rendeva conto che lui non le staccava gli occhi di dosso anche se, oggi, il suo sguardo non aveva più traccia della furia della sera prima e sembrava quasi il solito, composto André.

Soltanto, molto più triste.

La donna si avvicinò al suo cavallo e André lasciò andare le briglie poco prima che lei le agguantasse. In passato gliele avrebbe passate direttamente ma, stavolta, aveva paura di sfiorarla o meglio, aveva paura di spaventarla, ancora.

Non l’aveva guardato negli occhi per tutto il tempo e, ora, gli parlava dalla groppa del suo cavallo, dandogli le spalle: 

«André?»

«Si?»

«In attesa di assumere il nuovo incarico, vado nella villa di famiglia in Normandia. D’ora in avanti non dovrai più occuparti di me»

«Bene»

«E per quello che è accaduto l’altra sera, non ce l’ho con te. Comunque, preferisco dimenticare» 

Mentre diceva queste parole, non poteva non ripensare alla sera precedente. E nemmeno lui.

La donna diede un colpo al fianco del suo purosangue e andò via, lasciando l’uomo alzare il suo sguardo per vederla allontanarsi da lui, per sempre.

 

**

 

L’odore del verde circostante mischiato a quello dello iodio la riportava a quand’era bambina: i ricordi della villa sull’oceano atlantico le erano sempre stati molto cari. Amava il mare e, quand’era più giovane, approfittava sempre del tempo libero, tra la scuola militare e l’educazione paterna,  per lasciare Versailles e rifugiarvisi. Nelle spiagge assolate di luglio, amava costruire castelli di sabbia, vere e proprie fortezze abilmente progettate dal suo compagno di giochi e realizzate a quattro mani... E fare il bagno insieme, con la nonna che li rincorreva con un immenso telo di lino bianco gridando, come un ossessa, che l’acqua era fredda e dovevano asciugarsi subito se non avessero voluto prendere un malanno e, in sottofondo, le loro infinite risate cristalline che si perdevano nel vento. 

Quanto tempo era passato. Quante cose, nel frattempo, erano cambiate e quante, adesso, stavano cambiando. 

Si era innamorata di Fersen e aveva scoperto di avere un cuore di donna sotto gli abiti maschili che da sempre indossava e che, da quel momento, avevano cominciato a starle stretti. Chissà se il conte avrebbe potuto mai amarla se non fosse stato già innamorato di Maria Antonietta. La sera in cui si erano detti addio Fersen aveva detto che, se solo fosse venuto a conoscenza prima della sua vera identità, forse allora.. forse, allora, non si sarebbe innamorato della regina, ma di lei.

Ma ormai non aveva senso andare avanti con i sé e i con ma. Era un capitolo chiuso quello, punto e basta e, forse, era meglio così.

Lei era nata per essere un uomo.

Poi c’era André.

Le era sembrato più alto, più grande, più uomo quella sera: un uomo che lei non sarebbe mai stata. L’aveva capito quando, con gli occhi, aveva involontariamente misurato l’estensione del suo petto, valutando che era più ampio di quello che si aspettava, e non era riuscita a divincolarsi dalla stretta delle sue mani e dal suo abbraccio e, dopo, dal quel suo bacio, che l’aveva scioccata impedendole di fare un qualsiasi movimento.

Era stato il suo primo bacio, ed era stato André a darglielo.

Per un attimo, aveva temuto il peggio ma poi lui si era allontanato e, per la prima volta, l’aveva visto piangere e giurare su Dio e le lacrime erano scese più copiose perché si sarebbe aspettata di tutto quella sera, tranne di sentire una confessione d’amore del suo attendente, del suo migliore amico, di André. E la rabbia, la paura, erano scemate del tutto, sostituite da una pena infinita che, tuttora, non riusciva a smettere di provare - perché lei sapeva bene come ci si sentiva - e che le aveva impedito di rivolgersi a lui con ira il giorno dopo perché, nonostante tutto, era vero che non ce l’aveva con lui.

La verità era che non aveva mai preso in considerazione André da quel punto di vista perché lei era il membro di una nobile famiglia mentre lui era soltanto un attendente ed era impensabile che tra di loro un giorno sarebbe potuto accadere qualcosa, al di là dei progetti di suo padre che ne facevano di lei un uomo. Questo era quello che le avevano inculcato.

In realtà si sarebbe dovuta aspettare che gli stretti rapporti che intercorrevano tra loro sin dall’infanzia avrebbero finito col prendere una piega decisamente inaspettata col trascorrere degli anni perché l’amicizia e il reciproco affiatamento superavano i ruoli sociali.

Pensandoci bene, in tutti gli anni trascorsi non aveva mai dato peso al fatto che lui non avesse mai provato interesse verso una donna che non fosse lei, che non si era mai innamorato o passato la notte fuori casa, se non per il breve periodo in cui credeva che a vestire i panni del Cavaliere Nero fosse lui. E, ricordava, aveva provato pure un certo fastidio ad essere tagliata fuori, per una volta, quando aveva scoperto delle riunioni serali nella chiesetta di campagna.

Abituata a mascherare la sua persona, il comandante Oscar aveva dato per scontato che, se per lei era normale reprimere i suoi sentimenti e fare una vita senza pensare all’amore, fosse così anche per chi gli stava intorno. Non aveva mai sospettato che ci fosse qualcosa di strano nel completo e totale interesse che André riversava su di lei e nell’altrettanto disinteresse nel crearsi una vita sua, una moglie e dei figli. Si era dedicato per tutta la vita a lei, standole accanto senza dire niente, fino a quella sera. Aveva persino sacrificato senza pensarci troppo il suo occhio, pur di venirla a salvare.

E si diceva che era stata davvero una stupida a non accorgersi di ciò che si era creato. E, adesso, era come se le si fosse finalmente accesa una luce che le permetteva di capire come stavano realmente le cose ed era paralizzata dal senso di colpa, per non essersi comportata in maniera diversa, e non aver considerato tutti i tasselli del puzzle che adesso si formavano chiaramente dinanzi ai suoi occhi, di tutti i momenti in cui lui gliel’aveva quasi gridato che l’amava[3] e per essere, suo malgrado, l’oggetto dei sentimenti di André senza poterli ricambiare così come lui desiderava. Gli voleva molto bene e non le piaceva affatto la posizione in cui, adesso, si trovava.

Quel randagio sulla spiaggia, che lei aveva tentato di avvicinare, si era voltato un attimo verso di lei, giusto il tempo di guardarla un po’ e poi, aveva continuato per la sua strada. Era solo, e rifiutava un po’ di quell’affetto che lei voleva dargli. Pensò che si assomigliavano molto.

Si diceva che avrebbe dovuto misurare ogni sua azione da quel momento in poi, affinché nulla potesse essere frainteso e non si era pentita di averlo congedato definitivamente dalla sua vita: solo così, sperava, André l’avrebbe dimenticata e non avrebbe più sofferto per lei.

 

**

 

È finita.

Non potrò più starti accanto come ho sempre fatto, starti vicino accontentandomi solo di un tuo sguardo.

È così che doveva andare?

Forse, sarebbe dovuto essere così sin dal principio e io ho continuato per anni a vivere nell’illusione che tu nobildonna, e io semplice attendente, ombra della tua luce sin da quando prese piede la follia di tuo padre, avremmo potuto un giorno essere felici insieme.

Quanta follia. Che presunzione, la mia, di stare al tuo fianco per tutta la vita.

Sei andata via. Lasciandomi da solo, senza un posto dove stare, perché il mio posto eri tu, dovunque fossi tu.

E mi fa impazzire l’idea che starai lontano da me.

La città di Parigi, con le sue luci e la sua vivacità, non riesce a distrarmi e nemmeno l’alcol riesce a placare il mio dolore: i miei piedi si muovono da soli, senza meta: tanto io una meta non ce l’ho più, se non ho te da inseguire. 

«Ti spiace se siedo accanto a te?» 

L’uomo con la fisarmonica mi dice che posso sedermi. Ho bisogno di fermarmi. Mi gira la testa, troppo, c’è anche il problema dell’occhio.. 

«A me manca un occhio e una gamba. Tu hai solo perduto un occhio, giovanotto. Cerca di non perdere anche la testa, per amore» 

Allora è così evidente? 

«Già..» 

«Ascolta.. L’uomo può vedere due tipi di luci a questo mondo: una e la luce del sole e questa può essere facilmente vista dagli occhi dell’uomo. L’altra luce è il cuore, la fiamma interiore della speranza. E per nutrirsi di questa luce gli occhi non servono, mio giovane amico. Ed è questa la luce più importante. Anche se un uomo ha sbagliato, questa forza interiore gli darà sempre la possibilità di ritrovare la vera felicità. Non perderti d’animo. Non perderti mai d’animo, mio giovane amico»

 

*


Magari fosse così facile. Il mio cuore brucia ancora, troppo e ho bisogno di bere, ancora. Entro in una locanda, la seconda di questa sera.

Ho saputo dalla nonna che farai parte dei soldati della guardia cittadina e devo assolutamente trovare il modo di arruolarmi. Non so come farò per giustificare tutto a casa, alla nonna anche se, forse, non sarà nemmeno necessario. 

Pensava questo l’uomo, mentre sforzava la mente annebbiata dall’alcol, e biascicava disperatamente una vecchia canzone che aveva imparato la sera in cui aveva conosciuto Alain[4]. All’improvviso, si accorse di una voce che si aggiungeva alla sua nella canzone. Alzò la testa e vide colui che, con aria allegra e spensierata, entrava nella locanda e gli chiedeva se passasse sempre il suo tempo in giro ad ubriacarsi.

Forse quell’inaspettato incontro era un aiuto mandato dal cielo.

 

*

 

Era tornata a casa il tardo pomeriggio del dodici aprile, tre giorni prima di presentarsi nella caserma di Parigi, sede del comando dei Soldati della Guardia. Da quel giorno, i suoi compiti principali sarebbero stati molto diversi rispetto a quelli di corte: innanzi tutto, era responsabile dell’ordine pubblico di Parigi e, di conseguenza, pattugliamenti in città, giorno e notte, per non parlare dei verbali e gli ordini di servizio interni ed esterni tanto odiati, che in passato aveva riservato espressamente al caro vecchio Girodel.

Il giorno successivo al suo ritorno si era accorta dell’assenza di André ma non aveva voluto far domande. Forse era meglio non girare il coltello nella piaga e, in ogni caso, era stata lei a destituirlo e aveva dedotto che il padre, vedendolo privo del suo incarico, l’avesse spedito in qualche tenuta fuori Parigi a sbrigare qualche attività d’intendenza nelle tenuta in Normandia o in quella dell’Artois.

Era meglio così, si diceva: avrebbe fatto più in fretta a dimenticarla.

Dopo aver trascorso quel giorno nella noia più completa perché, doveva riconoscere, per quanto palazzo Jarjayes disponesse di un vasto personale, André era insostituibile nelle sue attività di intendente - e poi, si sentiva a disagio con qualcun altro – aveva deciso di presentarsi prima in caserma e, di buon mattino, aveva indossato la nuova divisa blu che si era fatta confezionare e, fattasi portare il cavallo nel cortile d’ingresso, si diresse, al trotto, verso Parigi, nel quartiere di Chaussé-D’Antin. 

Arrivata di fronte ai cancelli, si era presentata al soldato piantonato all’ingresso mostrandogli il documento firmato dal Generale Bouillé in cui Oscar François De Jarjayes veniva designata, per ordine di sua maestà il re, comandante della compagnia B della Guardia Francese. Dopo che i cancelli furono aperti, la donna venne raggiunta da un altro soldato che aveva ricevuto l’ordine di accompagnarla nel suo nuovo ufficio.

Quando la donna entrò si stupì di vedere l’estrema sobrietà e l’essenzialità del mobilio a sua disposizione, così differente rispetto all’alloggio che le era stato assegnato a Versailles. La grande finestra sul cortile interno, però, le piacque subito. Doveva solo dar ordine di ripulire la stanza per la polvere accumulatasi.

Qualche minuto dopo sentì bussare.

«Sono il colonnello D’Aguille, vice comandante del reggimento. Sono lieto di fare la vostra conoscenza»

«Molto piacere, colonnello»

«Siete arrivato con un giorno di anticipo.. Vi aspettavamo soltanto per domani. Comunque ditemi pure: in che cosa potrei esservi utile?»

«Vedete colonnello, ho preferito venire un giorno prima, per conoscere i miei uomini, quando non ero ancora attesa. Vi prego di accompagnarmi subito alle camerate»

«Ma.. ».

Il colonnello era visibilmente imbarazzato per la richiesta del suo nuovo comandante: far visita alle camerate, senza che fosse attesa, non era proprio quel che si dice una bella idea. Non era in grado di sapere che cosa avrebbero potuto vedere una volta aperta la porta.

«Le camerate dove alloggiano gli uomini non sono splendide. Io non vorrei che voi, comandante..»

«Non preoccupatevi», tagliò corto lei. 

Le camerate dei soldati erano delle anguste stanze di pietra, rivestite di legno, con dodici letti a castello per ognuna, disposti uno di fronte all’altro, lungo le pareti. La latrina, senza finestre, in fondo alla stanza.

Tra gli uomini che non erano in servizio, c’era chi chiacchierava, chi giocava a carte, chi raccontava delle proprie capacità amatorie impiegate durante l’ultima licenza ricevuta e chi, invece, cercava inutilmente di prendere sonno dopo essere rientrato dal turno di notte.

Quando qualcuno aprì la porta improvvisamente per annunciare l’arrivo del nuovo comandante, tutti cercarono di far sparire le bottiglie e le carte da gioco e di rimettersi un po’ in ordine, per quanto il poco tempo a disposizione lo permettesse, in modo da farsi trovare in riga e sull’attenti.

«Al diavolo ragazzi! Proprio adesso doveva arrivare!» imprecò uno che stava avendo fortuna a carte e che aveva dovuto interrompere, suo malgrado, la partita.

«Presto! Allineiamoci!»  

Aperta la porta, il colonnello fu sollevato nell’osservare che i soldati fossero in condizioni più o meno accettabili per salutare, seppur in via del tutto ufficiosa, il loro comandante.

«Prego comandante».

Oscar si mosse in avanti con passo deciso fino a raggiungere circa la metà della fila. Guardò a sinistra, poi a destra. Gli uomini al suo comando non erano certo gli imbellettati rampolli dell’alta società a cui era abituata, ma era meglio così.

«Soldati, sono il vostro nuovo comandante».

Girò la testa dall’altra parte, rivolgendosi agli uomini dell’altra fila:

«Il mio nome è Oscar François De Jarjayes»

Quando si volse nuovamente per continuare, le parole le morirono in gola. In seconda fila, in mezzo agli altri soldati, c’era lui. Senza volerlo, fece un passo verso di lui, fissandolo atrocemente.

«Soldati della guardia, salutiamo tutti il comandante», disse un soldato.

Lei vide soltanto André che la salutava, la mano destra sulla fronte. 

Dopo aver dato il riposo e aver atteso che il sangue ritornasse al cervello, alzò i tacchi e uscì.

«Colonnello, chiamatemi subito Grandier. Fatelo venire nel mio ufficio»

«Agli ordini, comandante» 

Dannazione André! Che ci fai qui? 

Sentì un toc toc alla porta.

«Mi avete fatto chiamare?»

Aveva l’aria stranamente tranquilla, troppo tranquilla, e quella sorta di commediola del “mi avete fatto chiamare” la stava innervosendo, come se non fosse già arrabbiata abbastanza. Andò direttamente al punto.

«Perché ti sei arruolato nei Soldati della Guardia? Ho detto che non avevo più bisogno di te?!».

«Non cercare inutili spiegazioni Oscar: mi sono semplicemente arruolato. Se vuoi sapere la verità ho un amico tra i Soldati della Guardia, mi sono arruolato tramite lui. Comunque, qualunque cosa tu possa pensare io sono l’unica persona in grado di proteggerti, Oscar. Sempre ai vostri ordini, mio comandante!»

E così dicendo, le fece il saluto militare e uscì dalla stanza, senza lasciarle il tempo di controbattere.

«André! Io..»

Chiuse la porta alle sue spalle.

Si aspettava una reazione di tutt’altro tipo e invece la calma con cui le si era rivolto era stata così disarmante che non le erano venute in mente nemmeno le parole per ribattere.

«Fa come ti pare..»

 

*

 

Si era imposto di mantenere un contegno serio mentre le parlava. Quanta gioia, e sollievo, aveva provato nel vederla entrare nelle camerate.

Cominciava a credere seriamente che quella sera Alain fosse stato un aiuto mandato dal cielo. Quando l’aveva visto entrare nella taverna, si era chiesto come mai non avesse pensato subito a lui. Alain faceva parte dei soldati della guardia, gliel’aveva detto la sera in cui si erano conosciuti. Gli aveva parlato delle estenuanti ore di lavoro, dei pattugliamenti, della paga misera, della necessità di molti ragazzi come lui di arruolarsi perché a Parigi non c’erano lavori decenti e quello era uno dei pochi modi onesti di guadagnarsi il pane. Alain si era mostrato abbastanza perplesso quando gli aveva sentito chiedere un aiuto per farsi arruolare. Per convincerlo, gli aveva detto che era figlio di un falegname, che aveva grandi difficoltà economiche in famiglia e che aveva bisogno necessariamente di un lavoro. Lui l’aveva aiutato, tanto nessuno, aveva detto, faceva la fila per questo lavoro.

Si erano dati appuntamento il giorno successivo, in tarda mattinata, di fronte la caserma, per presentarsi al comando. C’era qualche foglio da firmare e, per la visita medica – garantiva lui - non ci sarebbero stati problemi. 

Non gli importava che lei non lo volesse più tra i piedi. Lui non poteva stare senza di lei e non poteva lasciarla da sola. E poi lei lo aveva congedato e lui era libero di fare quel che voleva, no? Anche arruolarsi nello stesso reggimento, se solo questo serviva a non perderla d’occhio[5] . La Guardia Francese non era come la Guardia Reale e gli uomini che aveva conosciuto non erano certo come quelli di Versailles. Ne ebbe ulteriore conferma dai commenti, una volta rientrato nei suoi alloggi.

«Ragazzi! Volete conoscere il segreto del nostro nuovo comandante? Si tratta di una donna anche se indossa un’uniforme militare! È assurdo, ma vero».

«Ma non è uno scherzo..?! Il nuovo comandante è davvero una donna?»

«Ti ho detto di si!»

«Io non ho alcuna intenzione di prendere ordini da una donna, voi che ne dite?»

«Ehi Alain! Tu che ne pensi?»

«Questa storia non mi piace, non mi piace per niente».

Era nella tana dei leoni.

 

*

 

Disteso sulla branda con le braccia dietro la nuca, la giacca aperta – faceva troppo caldo in quelle pseudo-cripte - era pensieroso. Aveva nascosto a tutti di conoscere il comandante e non ci teneva che qualcuno lo venisse a sapere. Dai tempi del Cavaliere Nero, sapeva che i nobili non erano più ben visti dalla corte e, dopo lo scandalo della collana e tutto il resto, le opinioni della gente del popolo sui nobili e sulla famiglia reale in genere, non erano dei più affabili. I ragazzi non erano felici di un nuovo comandante, rampollo di una famiglia aristocratica che li avrebbe messi sottotorchio; se poi a comandarli era anche donna l’orgoglio maschile andava a farsi benedire. Come spiegare la loro conoscenza? Nel migliore dei casi, avrebbero pensato che fossero amanti e – per quanto egoisticamente avrebbe voluto che fosse vero – non poteva, non voleva, creare problemi ad Oscar (non era difficile supporre l’atteggiamento che ne sarebbe scaturito da parte dei soldati verso il loro comandante). Nel peggiore dei casi, l’avrebbero preso per una sua spia, o chissà che. Era più facile così, almeno fino a quando non fosse stato sicuro dei suoi compagni, semmai lo sarebbe stato. 

«André svegliati! Dai..! È il nostro turno di guardia, su!».

 

*

 

Cristo Oscar! Perché sei stata così imprudente? Non avresti dovuto farmi chiamare nel tuo ufficio così presto. Alain sa. Dice che non ho gli atteggiamenti del figlio di un falegname, che sembro un nobile. Ha saputo che sono andato a parlare con te nel tuo ufficio e mi ha più o meno velatamente – se si può dire velatamente giocare con un pugnale, che tra l’altro non credo nemmeno sia regolamentare – di stare attento perché gli uomini odiano gli aristocratici e, soprattutto, le donne aristocratiche.

Nonostante questo, credo di potermi fidare di Alain: mi sembra un tipo a posto. Il problema sono gli altri.

Per fortuna adesso questo turno di notte sta finendo. C’erano le stelle, grandi e luminose e ti ho pensato.

Probabilmente mi starai odiando per aver disobbedito ai tuoi ordini: ricordo ancora la rabbia nei tuoi occhi quando mi hai visto in mezzo agli altri. Eppure, cerca di capirmi amore mio.

 

*

 

Oggi avrebbe assunto ufficialmente l’incarico ed era in programma il saluto ufficiale della sua compagnia, nella piazza d’armi. Non vedeva l’ora di iniziare questa nuova vita, quella vita che le avrebbe impedito di rendersi ancora debole come lo era stata con Fersen e, anche se André, l’imprevedibile – non l’avrebbe mai detto, André imprevedibile! – André non le aveva dato retta beh.. peggio per lui, se voleva continuare a stare male lei che poteva farci?

Quando la governante le aveva chiesto dove fosse suo nipote, le aveva risposto che si era arruolato. Lei aveva risposto chiedendo come mai avesse fatto una cosa del genere ma, al silenzio che aveva seguito, non aveva insistito. Forse anche lei sapeva – pensava Oscar – perché André aveva deciso di arruolarsi.  

Stupito idiota, perché perdi tempo con me? 

La balla dell’amico tra i soldati della guardia non se l’era bevuta e, ancora meno, quella che lei non doveva cercare “inutili” spiegazioni per quell’arruolamento, che poi si era pure contraddetto dopo, dicendole che lui era l’unica persona in grado di proteggerla.  

I suoi pensieri vennero interrotti dal colonnello D’Aguille che la invitava a raggiungere il cortile per la rivista.  

«Ma che succede?! Un attimo fa erano tutti qui, schierati alla perfezione!» 

Il cortile era vuoto. Dopo qualche minuto, mentre ancora il colonnello si chiedeva, sbalordito, che fine avessero fatto i soldati, uno di loro entrò nel cortile. 

«Che cosa c’è André?»

«I soldati della guardia si rifiutano di prendere parte alla rivista in onore del nuovo comandante»

«E per quale motivo si rifiutano?»

«Perché non vogliono saperne di prendere ordini da una donna» 

Poté sentire una rabbia sottile pervaderle gli arti e salire su, fino a raggiungere lo stomaco e poi il cervello. E non seppe spiegarsi se le faceva più male che i soldati avessero disobbedito o sentire quelle parole pronunciate proprio da lui. E come aveva scandito bene le ultime battute! Uno schiaffo le avrebbe fatto meno male. 

«Se la rivista è annullata chiedo il permesso di tornare in camerata»

 

*

 

Se volevano il gioco duro, pensò lei, l’avrebbero avuto.

Scese da cavallo e, con passi lenti e decisi, raggiunse l’edificio adibito agli alloggi dei soldati.

Questa cosa dell’essere donna, che non le aveva mai creato problemi e, anzi, le aveva solo portato degli elogi, evidentemente era un problema in quella caserma. Ma lei non si sarebbe fatta intimidire.

Aprì la porta e, dopo aver schivato miracolosamente un pugnale volante[6] che l’aveva colta decisamente di sorpresa, lo tolse da dove era conficcato, dirigendosi minacciosamente verso il soldato che lo aveva lanciato e che sembrava essere altrettanto sorpreso, forse più dal sangue freddo dimostrato da quella donna in uniforme che continuava ad avanzare verso di lui.

«Forse avrei dovuto bussare. Ma in quel momento poteva entrare anche un tuo compagno, non ci hai pensato?»

E, così dicendo, conficcò il pugnale nello strettissimo spazio tra la cintura e il pantalone della divisa, proprio nel punto corrispondente agli attributi del soldato che, visibilmente pallido, non riuscì più a muoversi.

«La prossima volta che vi scopro a fare questo gioco assurdo vi sbatto in cella per un mese intero! E adesso ascoltatemi bene! Vi voglio vedere tutti sulla piazza d’armi entro cinque minuti!»

Gli sguardi dei soldati erano molto eloquenti. Non avevano nessuna intenzione di darle retta.

«Non abbiamo voglia di marciare a passo di parata» disse uno di loro, che non si era nemmeno degnato di alzarsi dalla sua branda.

«Già! Vi conviene tornare a comandare la Guardia Reale: qui nessuno sembra disposto a prendere ordini da una donna, mio comandante. Dovete tenere conto della nostra irruenza e non vogliamo che una donna esile come voi ne abbia a soffrire»

«Io non sono certo violenta per natura, ma sono stata educata a misurarmi con chiunque e se volete sono a vostra disposizione» 

E non fare quell’espressione incredula, brutto stronzo, mettimi alla prova!  

«Chi è interessato a battersi con me venga alla piazza d’armi. Spada, pistola. Io non ho alcuna preferenza» 

E André, ti prego, non fare quella faccia.

Qualcuno si era deciso a rispondere alla sua provocazione. Era un brutto tipo, a giudicare dalla faccia. Sguainava la spada lanciandole uno sguardo che voleva incutere paura. 

Ridi pure, non sai quello che ti aspetta. 

«Allora – disse lei rivolgendosi a tutti i soldati - se vinco voi dovrete sfilare tutti davanti a me. Se perdo lascerò il comando dei Soldati della Guardia».

«Mi sembra accettabile» rispose l’energumeno che aveva davanti. 

Il soldato, approfittando della sua mole, si lanciò in un brutale attacco, sperando di spaventarla. Oscar rispose con lo stesso ardore, sconvolgendolo, e questo era un punto a suo favore. Dopo essersi passato una mano sul volto, l’uomo aveva attaccato nuovamente ma stavolta Oscar era riuscita a schivarlo, girandosi poi di scatto per non dargli le spalle, pronta ad un veloce attacco di sorpresa. Stavolta era lei ad fare la prima possa, facendo indietreggiare il soldato che, espostosi più del necessario, si fece far volare via la spada, guadagnandosi una piccola ferita alla mano.

«Sembra che io abbia vinto».

E, così dicendo, Oscar ripose l’arma nel fodero e fece per andare via. Il soldato, approfittando della situazione, si mosse per aggredirla alle spalle ma la donna, immaginando le intenzioni dell’uomo dal fiato corto e dai passi che si avvicinavano sempre più, impugnò con entrambe le mani la spada con tutto il fodero che la conteneva, spingendo via l’uomo che, colpito in pieno volto, cadde perdendo i sensi.

«Ora la sistemiamo noi»

«Certo, non finisce così»

«Giusto!»

Gli altri soldati erano pronti ad attaccarla e anche lei, valutando velocemente la sua situazione, si era messa in posizione di difesa.

«Io non lo farei se fossi in voi, ragazzi». Il tizio con il fazzoletto al collo con cui aveva parlato prima nelle camerate, si era intromesso.

«Già! I patti erano molto chiari, e noi abbiamo perduto. D’accordo comandante: prenderemo parte alla sfilata. Ma badate: questo non significa che abbiamo deciso di accettarvi come nostro nuovo comandante»

«Certo, capisco».

 

*

 

Il sole al tramonto illuminava con la sua tenue e rossiccia luce il cortile e i soldati, in fila di tre[7] mentre un leggero vento primaverile le scompigliava i capelli e le frange delle spalline.  Non poteva fare a meno di osservare quei soldati che avevano deciso, infine, di sfilare. Erano così diversi dagli uomini che aveva comandato; il loro mondo era così diverso dal suo e il tizio con il fazzoletto rosso che - aveva saputo - si chiamava Alain, aveva messo bene in chiaro che non avevano intenzione di proteggere gli aristocratici, men che meno la famiglia reale.

Aveva vinto la battaglia, ma non la guerra.

Ma, se voleva creare un rapporto di fiducia e di rispetto, toccava anche a lei cercare di comprendere il loro punto di vista.

E poi c’era André che non smetteva di fissarla, approfittando del fatto che, durante la rivista, era obbligatorio rivolgere il viso al proprio comandante.

Adesso che sapeva come stavano le cose, si accorgeva che il suo amore era così palese e, guardandolo con attenzione per la prima volta nella nuova divisa blu, il ricordo del bacio che le aveva rubato le passò improvvisamente in mente, costringendola a distogliere lo sguardo dall’uomo.

Tutto sommato, forse non era un male che ci fosse anche André. Non che volesse fare affidamento su di lui anzi, voleva proprio dimostrargli il contrario, ma avere un viso amico in mezzo a tutte quelle facce oblique la faceva stare meglio.

André aveva sempre avuto lo strano potere nascosto di darle serenità. 

 

Fine Parte Quinta

Cetty (mail to: cetty_chan@virgilio.it


 

[1] Mi riferisco al generale Jarjayes, ovviamente.

[2] Nella nostra versione questa parte non è stata doppiata, quindi ho dovuto fare una traduzione di quella originale (grazie ai sottotitoli in inglese!)

[3] «C’è della gente che ama una persona tutta la vita senza che questa persona lo sappia»

[4] Nella versione originale, André non batte i pugni nel bancone dicendo “Voglio entrare anch’io nei soldati della guardia”, ma canticchia una canzone che aveva cantato con Alain e gli altri soldati la sera in cui li ha conosciuti (ep. 28). Questo spiega il perché André batte il tempo col piede, oltre che col pugno, e l’entrata tutta “festosa” di Alain che, in realtà, canta insieme ad André il finale della canzone. Mi è piaciuta molto questa scena, perché la canzone allegra è cantata da André con un tono che sottolinea la sua disperazione.

[5] Per fortuna, all’epoca, non c’era ancora il reato di stalking ^^

[6] Non è una citazione al film Zhang Yimou ma ho pensato che Oscar potesse avere questa percezione, una volta aperta la porta degli alloggi.

[7] Col resto di due ^__^! Scusate ma viene automatico!