NOTE DELL'AUTRICE: Questa storia è la realizzazione di un mio piccolo desiderio: colmare alcuni vuoti narrativi dell'anime, relativamente a "chissà cosa pensa André in questo momento, anche se non viene detto?" e "Chissà perché Oscar si comporta così".
La vicenda che segue, ricalca più o meno fedelmente (con qualche licenza) la storia raccontata dall'episodio 20 in poi, con alcuni salti temporali, visto che la storia è incentrata sui due protagonisti. Le parti scritte nel colore più scuro e in corsivo sarebbero i pensieri di André.
Ancora la fanfiction è in fase di lavorazione, pertanto non so dove la farò concludere. Per il momento, vi auguro una buona lettura, sperando che questo mio ultimo lavoro vi sia gradito.

 

UNA VITA

Capitolo Terzo

Anche se perdessi la luce[1]

 

Piccole goccioline di umidità scendevano lungo la parete in pietra della cella ai piani sotterranei del Palazzo Reale di Parigi in cui Oscar era stata rinchiusa. Era andata alla ricerca del bandito vestito di nero, il Cavaliere Nero, che si era dedicato negli ultimi tempi ad alleggerire il patrimonio delle famiglie nobiliari di Parigi e dei dintorni. Voleva prenderlo a tutti i costi, quel bastardo, che qualche sera prima aveva ferito l’occhio di André il quale, nonostante tutto, si era preoccupato per lei dicendole che era contento che fosse lui quello ferito, e lei non era riuscita a dargli nemmeno una risposta sensata perché si sentiva irrimediabilmente in colpa. Era stata sua la scelta di provare a catturare il Cavaliere Nero travestendosi e compiendo i furti a suo nome: in questo modo prima o poi il vero Cavaliere Nero sarebbe saltato fuori per fermare “l’impostore” e, allora, lei avrebbe potuto catturarlo. André si era offerto di vestire lui i panni del brigante, più somigliante rispetto ad Oscar, visti i capelli biondi di lei.

 **

Il duca d’Orléans aveva trovato inizialmente abbastanza strano il fatto che il comandante delle guardie reali fosse in visita presso la sua casa, ma aveva infine apprezzato la schiettezza della donna quando, candidamente, gli aveva esposto il motivo della sua visita:

«Sono venuta qui per farvi una domanda precisa: Voi conoscete il Cavaliere nero?»

Il duca aveva risposto che sapeva chi fosse ma non lo conosceva personalmente e, dopo, aveva fatto visitare ad Oscar la sua casa frequentata da intellettuali borghesi. Egli si era definito un uomo dalle idee liberali, che accoglieva nel suo palazzo artisti, intellettuali, avvocati e giornalisti che discutevano di arte, letteratura, politica e filosofia; ma in realtà il suo scopo ultimo era quello di usare i più brillanti esponenti del ceto borghese per alimentare le voci di critica nei confronti della monarchia. Oscar lo sapeva ma non le importava molto, non in quel momento, e aveva accettato più che entusiasticamente la proposta del duca, proposta che le avrebbe permesso di osservare gli uomini presenti per scoprire se tra di essi ci fosse anche il Cavaliere Nero.

Dopo essersi intrattenuta con dei giovani intellettuali che le avevano consigliato anche alcune letture, era stata invitata a dirigersi nelle cantine, dove il duca aveva intenzione di mostrarle la sua collezione di vini pregiati.

 

Aveva peccato d’imprudenza, ma in quel momento non aveva pensato potesse trattarsi di una trappola visto che l’invito proveniva direttamente dal duca.

 

Il sole stava tramontando per la seconda volta da quando era rinchiusa nell’angusta cella, rifiutando il cibo che le veniva dato perché temeva potesse essere avvelenato. Le avevano lasciato dei fogli e un calamaio per scrivere una lettera al padre in cui avrebbe dovuto chiedergli di consegnare cinquecento fucili in cambio della sua libertà. Secondo il Cavaliere Nero, per il generale Jarjayes non sarebbe stato difficile sottrarre quella quantità fucili, visto il suo delicato incarico di rifornire l’esercito di armi. Lei l’aveva preso per folle, se credeva che avesse potuto fare una richiesta del genere al padre. Lui aveva risposto che avrebbe ceduto, prima o poi, vista la mancanza di orgoglio dei nobili. Poi era andato via.

 

Le era venuta in mente un’idea per fuggire: sarebbe stato estremamente pericoloso, visto che non era armata e doveva giocare esclusivamente sull’effetto sorpresa; ma ci avrebbe provato lo stesso.

 

**

 

Le tende della camera di André erano chiuse perché aveva bisogno dell’oscurità quando medicava l’occhio: soltanto qualche candela illuminava la delicata operazione che stava compiendo, rifiutandosi categoricamente di farsi aiutare da sua nonna che lo osservava con grande apprensione. Il dottore aveva detto che la sua era una ferita seria, ma non grave: il che implicava riposo, medicazioni quotidiane e, soprattutto, una costante attenzione nell’evitare di esporsi a fonti di luce intense.

 

Quella dei capelli biondi era stata una scusa perfetta per prendere il suo posto, anche se il motivo che lo aveva spinto ad offrirsi di vestire i panni del Cavaliere Nero era che non voleva che si mettesse di nuovo in pericolo, come già era successo la sera del ballo a casa dei Marchesi di Beaugavan[2]. Lo sapeva che era un rischio del suo incarico, quello di ferirsi e, nella peggiore delle ipotesi, rischiare anche la vita. Ma il suo ruolo non era quello di proteggerla? E, tutto sommato, fino a un certo punto si era anche divertito a fare la parte del ladro, anche se doveva riconoscere che la riuscita delle sue imprese dipendeva molto dall’avere come complice il comandante della guardia reale.

 «André, hai bisogno di aiuto con la benda?»

«No, grazie. Ma di’ a qualcuno di badare al cavallo di Oscar: io non potrò farlo per un po’ di tempo..»

«Ecco, io non volevo dirtelo ma… Oscar non è tornata a casa da due giorni»

«Che cosa?!?»

«Da quando è andata al Palazzo Reale di Parigi, non abbiamo più notizie di lei. Abbiamo mandato un messaggero.. gli è stato detto che Oscar ha lasciato il palazzo quello stesso giorno»

Aveva scostato le tende della sua stanza, dove finalmente il sole si stava nascondendo dietro le colline.

«… al Palazzo Reale di Parigi…».

 

Più tardi, la mente di André non riusciva a non pensare che fine avesse potuto fare Oscar guardando i colori tenui del soffitto affrescato della sua camera da letto, le mani incrociate dietro la nuca, le gambe leggermente divaricate con la sinistra piegata lungo quella destra. Fuori, si era già fatto buio. In testa, un solo pensiero continuava a torturarlo.

 

Dove sei?

 

Si alzò dal suo letto mettendosi di fronte al commode su cui era appoggiato un grande specchio. Il dottore era stato categorico: non doveva assolutamente togliere la benda senza il suo permesso. Se avesse fatto affaticare troppo l’occhio, il rischio sarebbe stato quello di perderlo completamente.

 

Dove sei?

 

Sicuramente era ancora al Palazzo del duca d’Orléans. Era stata lei a raccontargli di aver perso le tracce del Cavaliere Nero proprio lì, ed era sicuro che proprio lì l’avrebbe trovata. Ma come fare ad entrare? Era già stato comunicato alla famiglia Jarjayes che Oscar aveva lasciato quel luogo.

 

Dove sei?

 

Prese la sua decisione, calcolando il rischio[3] che correva nel togliersi la benda, il che era necessario per fare quello che doveva fare. Non gli importava che lei avesse pensato, all’inizio, che era lui il Cavaliere Nero e delle parole di lei sul fatto che lui non fosse un nobile e che non doveva preoccuparsi se le cose, un giorno, per i nobili sarebbero andate male. Poi l’aveva vista preoccuparsi per lui, pensare soltanto a soccorrerlo, anche a costo di fare fuggire il ladro, cosa per cui lui l’aveva persino rimproverata. E si era intenerito quando lei gli aveva risposto che doveva saperlo che non poteva, che non l’avrebbe mai lasciato lì ferito. E allora aveva saputo che Oscar non parlava sul serio quel tardo pomeriggio e che teneva a lui più di quanto, forse, lui stesso riuscisse ad immaginare.

Si tolse la benda guardandosi allo specchio. Si voltò verso una candela. Non riusciva a focalizzarla bene. Forse perché si era voltato troppo velocemente. Sperò. Non aveva tempo da perdere: si tolse la camicia, che gettò velocemente sul letto, e prese il costume nero riposto infondo al suo armadio.

 

**

 

Dopo aver saltato i cancelli che delimitavano la proprietà del duca, aveva iniziato a fare un giro perimetrale del palazzo. Sulla sinistra, aveva scorto delle scale che portavano ad un piano sotterraneo, chiuso da una pesante porta di legno e ferro. Qualcuno aveva forse dimenticato di chiudere a chiave il portone, e André non fece fatica ad entrare, trovandosi davanti un lungo corridoio quasi completamente buio sovrastato da archi in stile gotico: solo qualche candelabro, tra una colonna e un’altra, illuminava il passaggio. Mentre camminava cercando di capire che direzione prendere, gli si parò davanti un uomo.

 «Salve»

«Salve»

 

Sta funzionando! Il piano sta funzionando!

 

L’uomo continuò per la sua strada, nella direzione opposta a quella che aveva preso André. Non si era accorto dell’inganno.

«Aspetta un momento»

 

Dannazione!

 

Strinse i denti e la spada che teneva alla sua sinistra. 

«Madamigella Oscar non vuole assaggiare il nostro cibo. Che cosa si è messa in testa? Che chiamiamo il cuoco della regina appositamente per lei? Per me può pure crepare di fame». 

Si voltò e si accorse che l’uomo, insieme ad una pistola, aveva un mazzo di chiavi. Sicuramente tra di esse c’era quella della cella in cui era rinchiusa Oscar. 

«Vedrai che domani mangerà»

«Salve capo».

 

Attese che facesse qualche passo per andarsene, poi tutto accadde in un attimo. André gli si scagliò dietro colpendolo alle spalle con un pugnale. L’uomo perse il respiro e i sensi accasciandosi sul freddo pavimento. André fece non poca fatica per trascinarlo in una zona buia del corridoio. Gli prese le chiavi.

Ho colpito un uomo a sangue freddo, Dio! Ma non ho tempo fare i conti con la mia coscienza, non adesso[4].

L’occhio cominciava a dargli qualche fastidio, nonostante avesse cercato di “sostituire” la benda con un ciuffo di capelli. Doveva sbrigarsi a trovare Oscar ma non era facile uscire da quella sorta di labirinto che erano i sotterranei di quel maledetto palazzo. Finalmente, con immenso sollievo, scorse alcuni barlumi di luce dalle fessure di un portone, chiuso con un pesante catenaccio. Guardò attraverso la feritoia con cui i carcerieri controllavano il prigioniero e, nella semioscurità, vide la giacca della divisa di Oscar con la quale probabilmente la donna si era coperta. Infilò la chiave nella serratura che fece un piccolo scatto, tolse il catenaccio e aprì la porta.

Ebbe solo il tempo di accorgersi che sul tavolaccio c’era solo la divisa di Oscar quando la donna gli si gettò addosso per colpirlo con un calcio e fu solo grazie all’istinto di autoconservazione che riuscì a schivarla. 

«No! No! Ferma Oscar! Sono io, André!»

«Tu qui, André?!»

«Sono perfetto come Cavaliere Nero, ho ingannato anche te».

 

Nel frattempo, nel corridoio della cella, il vero Cavaliere Nero stava soccorrendo l’uomo col pugnare conficcato nella schiena. 

«Dimmi chi è stato!? Chi è stato a ridurti così?!»

«Il…. Cavaliere… Nero….»

«Che cosa?!» 

Non c’era tempo da perdere. Corse verso la cella del comandante Jarjayes.

 

Nello stesso momento, André e Oscar tentavano la fuga. André in prima fila, con gli abiti che gli avrebbero garantito l’incolumità, almeno fino a quando qualcosa non sarebbe andato storto. Correva fermandosi dietro ogni colonna, ci si nascondeva dietro e, quando era sicuro che non ci fosse nessuno davanti a lui, faceva segnale alla donna di andare avanti.  

«Fermati Oscar. Mi sembra di aver sentito dei passi» 

Se lo videro passare davanti, il Cavaliere Nero, che correva verso la cella di Oscar. 

«Il Cavaliere Nero! Presto André, dammi la tua pistola: devo prendere quell’uomo. La cosa migliore che ora possiamo fare è portarlo via con noi».

 

Intanto il vero Cavaliere Nero si era accorto che la cella era vuota e correva verso l’uscita quando si trovò davanti, con un sorriso di profonda soddisfazione, il falso Cavaliere Nero. Si rese immediatamente conto che era caduto in trappola. Oscar infatti, approfittando della sua sorpresa, gli aveva puntato la pistola nella schiena. 

«Lascia cadere la pistola, altrimenti premo il grilletto»

 

**

 

Erano riusciti a catturarlo, dopo tutto. Dopo che Oscar lo aveva disarmato, l’aveva costretto a salire sul suo cavallo con lei nascosta dietro la schiena, complice il buio. Dovevano uscire da lì e lui rappresentava il loro lasciapassare. André si era presentato davanti agli uomini di guardia ai cancelli qualche minuto dopo, chiedendo loro se avessero fatto uscire uno uomo vestito come lui. Gli uomini, convinti che l’uomo di prima – il vero Cavaliere e Oscar – fosse l’impostore, avevano aperto immediatamente i cancelli quando André aveva intimato loro di fare presto, poiché doveva catturare il falso Cavaliere Nero. In questo modo, si erano garantiti la fuga. Quando i cancelli del palazzo erano ormai lontani, André, il suo cavallo al galoppo come il vento, aveva sfogato l’adrenalina accumulata con una sonora risata, ma poi l’occhio aveva cominciato a dolergli un po’ di più e aveva abbassato la testa, per impedire che la sola aria gli recasse fastidio.

Oscar era scesa dal cavallo, continuando a puntare la sua pistola contro il Cavaliere Nero. Dovevano aspettare che André li raggiungesse. Poi era stata costretta a sparare, perché l’uomo, sicuro che Oscar non l’avrebbe colpito alle spalle, aveva tentato la fuga. Non le piaceva sparare alle spalle di qualcuno, ma lui aveva ferito l’occhio di André.

 

**

 

«Bernard Châtelet, nato nel 1760. Giornalista» 

L’uomo riposava ferito su un letto di palazzo Jarjayes.  

«Sei bene informata sul mio conto»

«Se ti avessi consegnato alle autorità sapremo di più. Per esempio, come giustifichi la tua presenza al palazzo reale di Parigi?»

«Mpf». Non era una donna da sottovalutare, a quanto pare.

«Avremo modo di riparlarne, perché resterai qui fin quando non sarai guarito»

«Ahahaha!! ero certo che eri molto generosa. Ma cerca di non esserlo troppo perché potrei anche fuggire da qui»

«Io avevo mirato alla spalla, ma non so per quale motivo il proiettile è passato vicino al cuore. Il dottore ha detto che non ti devi muovere per qualche giorno. Se fossi morto a causa dell’errore che ho fatto sparandoti forse avrei avuto dei rimorsi. Ma se tu ora vuoi tentare di fuggire e morire il problema è solo tuo»

Bernard era impallidito: «È vero quello che stai dicendo?»

«Se tu tenti di muoverti credo che avremo un ladro in meno»

«Non per fare l’immodesto ma credo.. di essere più di un ladro»

Cosa puoi saperne tu, maledetta aristocratica, della povertà e di quanto i miei furti abbiano aiutato la povera gente che non può nemmeno andare dal medico per curarsi?

 

**

 

È fatta! L’abbiamo preso finalmente!

Non sentiva più i passi di André dietro di lei e si girò. Si era fermato, la mano destra appoggiata al muro, quella sinistra sull’occhio.

«Non è niente Oscar, non ti preoccupare.. Mi gira un po’ la testa, forse è l’occhio»

Ma tutto nel suo atteggiamento, nel leggero tremore del corpo e nell’improvviso pallore del suo viso e della voce, tradiva le sue reali condizioni.

Nel giro di qualche frazione di secondo si ricordò che il suo migliore amico aveva tolto la sua benda, per poterla salvare. Se n’era accorta quando lui era entrato nella cella dove era rinchiusa, ma il suo subitaneo stupore era stato messo a tacere dello stesso André

 

«Per il momento Oscar, pensiamo soltanto a come uscire da qui», così le aveva detto. Poi la fuga, la cattura del bandito, avevano fatto il resto.

 

**

 

No! Non voglio sentirlo, con questo tono aspro e accusatorio sulla tua imprudenza di esserti tolto la benda senza il suo permesso. Non può essere. André.. il tuo occhio.. Non puoi perdere la vista così, solo per venire a salvare me, proprio io che ho colpa di tutto, che ho escogitato questo fantasioso piano che, per assurdo, è riuscito alla perfezione, se non fosse che ci hai rimesso il tuo occhio. Per me. Non dovevi tirarmi fuori da quella cella se avrebbe significato tutto questo. Maledetto, maledetto Cavaliere Nero!!! 

Corse via, prima ancora che il dottore avesse lasciato la stanza. Non poteva, non voleva sentire le lacrime della sua governante, né vedere André, il volto serio e impassibile, accettare la sentenza così dura e amara del dottor Lassonne come un condannato a morte già consapevole della pena ancor prima della condanna. Tornata nella sua stanza, prese la spada che lasciava sempre appoggiata allo schienale della poltrona del salottino adiacente la camera da letto, ed era corsa, le lacrime agli occhi e una furia che l’aveva presa solo raramente, verso le stanza in cui riposava Bernard. L’uomo, riverso sul letto, in un profondo sonno per via della bevanda soporifera che gli avevano somministrato per non soffrire troppo il dolore alla spalla[5], non si era nemmeno accorto delle minacce urlate della donna che gli avrebbe fatto quello che lui aveva fatto ad André.

Ma poi si era fermata, perché si era resa conto che non poteva certo ferire un uomo per vendetta e per rabbia.

«Oscar!»

La donna si era vergognata per l’ignobile gesto che stava per fare, aveva distolto gli occhi da lui ed era uscita, la spada ancora in una mano e il fodero nell’altra. André, comprensivo, la seguì nella sua camera, fuori, nel terrazzino.

«Senti… mi resta sempre l’occhio destro.. posso ancora vedere la luce del sole, le persone… si, in fondo non è cambiato quasi niente nella mia vita. Ascolta, sei davvero decisa a consegnare alle autorità il Cavaliere Nero?»

«Cosa?!»

«Senti Oscar, sono i poveri a morire di fame, non i nobili. La nobiltà non fa niente per i poveri, mentre lui ha fatto davvero molto per aiutarli, e deve continuare a farlo»

«André…! Ma ti rendi conto di quello che dici?! Stai parlando in favore dell’uomo che ti ha privato dell’occhio sinistro… E poi si tratta di un volgare ladro»

Me ne accorgo nello stesso momento in cui lo dico che non è un volgare ladro André, ma non capisco perché i tuoi occhi si abbassano, delusi, si, delusi dalle mie parole... perché vuoi che io lasci libero l’uomo che ti per sempre privato del tuo occhio…?

Pensava questo mentre André, la testa bassa, un mezzo sorriso che sapeva più di amarezza e delusione.

«Allora scusami Oscar» 

Si era voltato, per andare via

«Mi ero dimenticato che lavoro per una famiglia nobile e che voi certi discorsi non li capirete mai e poi mai» 

Una lunga pausa, poi prima di uscire, un tono freddo e ironico al tempo stesso. 

«Devo ammetterlo, a volte sono proprio un illuso. Ti prego di scusarmi Oscar» 

Ed era andato via, senza degnarla di uno sguardo, lasciandola con la spada in una mano e il fodero nell’altra, incapace di replicare al tono che non aveva mai sentito nella voce del suo migliore amico.

 

**

 

Subito dopo, una carrozza si fermava davanti al cortile d’ingresso di palazzo Jarjayes. Il generale ne uscì fuori correndo, facendosi dire dal primo domestico che si trovò davanti dove fosse suo figlia. La vide in cima alle scale e le disse, con grande entusiasmo, che aveva saputo della cattura del Cavaliere Nero per la quale si complimentava con lei auspicando che il re potesse concederle una promozione. 

«Ecco padre io.. mi sono sbagliata: non ho catturato il Cavaliere Nero. Ho catturato la persona sbagliata. Ho fatto delle indagini su di lui e non sono emerse prove che lo accusino. Dobbiamo lasciarlo andare».

 

**

 

Il sole tramontava dietro le colline sulla strada da Versailles verso Parigi e Oscar accompagnava la carrozza che avrebbe portato Bernard a Parigi. Alla fine aveva deciso di ascoltare il consiglio di André e lasciare andare libero quell’uomo che, tutto sommato, come aveva detto André, aveva agito non per scopi personali ma per aiutare i più poveri. Secondo lei c’erano mezzi più leciti per aiutare gli altri e il furto non rientrava tra questi, ma il viso di André, la delusione dei suoi occhi e quella delle sue parole, l’aveva colpita così tanto che alla fine aveva deciso di non denunciarlo. Prima di lasciarlo andare, però, aveva voluto sapere se il duca d’Orléans avesse un ruolo preciso in tutta quella storia e Bernard le aveva chiarito che il duca non aveva niente a che fare con i furti, né con la sua persona e che il gruppo che operava a favore del Cavaliere Nero, e lui stesso, facevano affidamento esclusivamente sul fatto che il duca accogliesse nella sua casa giovani di diversa estrazione sociale cosicché loro potessero usare il palazzo come rifugio sicuro. Si era fatta inoltre promettere che avrebbero riconsegnato i duecento fucili che avevano già sottratto ai soldati di suo padre durante un trasferimento delle armi al palazzo degli Invalidi, e lui aveva accettato. 

«Come ti ho già detto, c’è una certa Rosalie a Parigi: le ho scritto di te. Potrai restare da lei tutto il tempo che vorrai»

«Grazie Oscar.. non avrei mai creduto che mi avresti lasciato andare»

«Ascolta.. non devi ringraziare me, ma André»

«Come, André..?»

«Già.. e se permetti credo sia il caso di dire che ha dimostrato di essere più uomo lui, del Cavaliere Nero». 

E con queste parole, fece voltare il cavallo nella parte opposta e partì verso casa.

 

**

 

«Oscar»

«Si, dimmi»

«Volevo ringraziarti per aver lasciato andare Bernard…» 

Le aveva detto queste parole mentre lei suonava il pianoforte, in camera sua. 

«… e scusa, scusami per quello che ho detto oggi pomeriggio»

«…»

«Beh, allora, buona notte, Oscar» 

Quando lui uscì fuori dalla sua camera, non riuscì a realizzare il complicatissimo accordo al pianoforte e pigiò tutte e dieci le dita sui tasti, producendo un suono dissonante. 

In realtà sono io a doverti chiedere scusa.. perché è solo colpa mia, ché mi sono fatta convincere da te a trascinarti in questa storia, ché non sono riuscita a capire, durante lo scontro quella maledetta notte, chi fossi tu e chi fosse il Cavaliere Nero, dandogli così la possibilità di ferirti. E io non merito le tue scuse, io, che ho creduto che potessi essere tu, il Cavaliere Nero, ingannandomi dal fatto che uscivi la sera senza di me, e che non sapessi dove andavi.

Io, che ti ho trattato con disprezzo dicendoti che quando tutto sarebbe finito saresti potuto tornare a frequentare le riunioni nella chiesetta per le quali tante sere mi hai privato della tua compagnia. Ed è stato per puro egoismo che ti ho detto che non avresti dovuto preoccuparti se i nobili non avrebbero visto in futuro momenti molto belli, perché tanto tu non sei un nobile. E me ne sono accorta troppo tardi di aver esagerato, quando mi hai risposto con un assordante silenzio invece che nel tuo solito modo ironico.

E nonostante tutto tu sei venuto a salvarmi, mettendo in gioco la tua pelle, e il tuo occhio, per me, un’altra volta.

«Spero.. che potrai perdonarmi» disse la donna. Poi sospirò, si alzò dal piano, con una mano tirò indietro i suoi capelli e si preparò per la notte[6].

 

 

Fine Parte Terza

Cetty (mail to: cetty_chan@virgilio.it ) 

 


 

[1] Traduzione del titolo giapponese dell’episodio 27, “Un Rischio Calcolato”.

[2] Non mi sono voluta dilungare su questa parte della storia, ma immagino tutti sappiate che mi sto riferendo all’episodio “Il Cavaliere Nero” in cui Oscar, nel tentativo di acciuffare il C.N., viene ferita e accudita poi da Rosalie e dalla donna con cui la giovane è andata ad abitare.

[3] Mi piace troppo il titolo di questo episodio e volevo riportarlo in qualche modo.

[4] Questa scena mi ha particolarmente colpito. Forse per la prima volta, André, con una certa ferocia, colpisce un uomo, in un certo senso innocente, a sangue freddo. Certamente era giustificato dalla situazione, però penso che questo suo gesto non lo potesse lasciare indifferente.

[5] Non so se oggettivamente la ferita riportata da Bernard potesse richiedere una cura a base di soporiferi. Però non riesco a spiegarmi altrimenti come mai non si accorga del grande rumore che fa Oscar quando entra nella stanza, né delle urla della donna contro di lui.

[6] Questa scena, ovviamente, è un’aggiunta della sottoscritta. Odio le cose in sospeso e l’uscita disillusa di André in quest’episodio, insieme alla scena finale di Oscar in cui riconosce che André si è comportato da uomo, nella richiesta di lasciare andare Bernard nonostante tutto, mi hanno fatto pensare di dare una certa conclusione ai fatti. In un primo momento, avevo pensato di far scusare Oscar in maniera chiara e diretta. Poi ho pensato che la Oscar dell’anime, che è quella di cui parlo in questa ff, è troppo orgogliosa per scusarsi in maniera chiara e diretta (non in questo punto della storia almeno), pur riconoscendo le sue colpe.