UNA VITA
CAPITOLO XIII
"Liberté"
La mattina del 14 luglio buona parte dei parigini si accorse che i cannoni della Bastiglia, l’enorme fortezza simbolo del potere monarchico esercitato in modo arbitrario da parte della real casa, erano spaventosamente puntati sulla città.
Il comandante De Launay, governatore del carcere, aveva pensato bene di barricarsi con un notevole arsenale di armi e di guardie svizzere che, assolutamente indifferenti alla popolazione francese, non avrebbero avuto nessun problema a puntarle contro i propri fucili.
Dopo alcuni tentativi da parte di una delegazione popolare di chiedere che i cannoni venissero smantellati, alcuni gruppi non attesero lo sviluppo degli eventi e cominciarono ad attaccare l’odiata prigione.
Per quanto numerosa potesse essere la folla che aveva preso d’assalto la Bastiglia, i soldati e la guardie svizzere all’interno della fortezza erano meglio armati del popolo che, con in mano soltanto armi di fortuna e qualche fucile, facevano fatica a farsi avanti.
La maggior parte moriva come mosche.
In effetti, in mezzo alla folla qualche cannone spuntava qua e là, di quelli rubati all’Hotel des Invalides ma nessuno sapeva come usarli.
«Ma è mai possibile?» Gridava quasi Bernard Châtelet, rispondendo ad un uomo che riusciva a malapena a reggere un barilotto di polvere da sparo, nel tentativo di travisarne una parte in un recipiente più piccolo, con il viso sporco di e l’aria provata dalla stanchezza accumulata negli ultimi due giorni e dalla tensione del momento, quando sentì una voce chiamarlo:
«Oscar?!» disse in un soffio, stupito di trovarla ancora lì.
«Non preoccuparti, ci siamo noi ora: anche i nostri cannoni spareranno, finalmente».
Dal viso della donna non traspariva nessun sentimento. Sembrava impassibile
nei suoi lineamenti delicati. Completamente svuotata da ogni turbamento, da
ogni sensazione umana, agiva semplicemente d’istinto, rispondendo agli
stimoli del mondo intorno senza nessun’apparenza di sentimento negli occhi.
Era morta, dentro.
Sembrò recuperare parte di quella risolutezza che da sempre l’aveva
contraddistinta solo quando si lanciò verso il cannone più vicino,
mettendovisi al lato.
«Avanti! Avanti soldati della Guardia, caricate i cannoni!!!»
«Si comandante!!!!» risposero all’unisono i soldati della guardia, muovendosi velocemente verso la batteria dei cannoni che aspettava soltanto di essere caricata.
Quando furono tutti allineati verso una delle torri dell’edificio, Oscar li raggiunse posizionandosi in linea con i pezzi di artiglieria.
Sguainò la sua spada, fissando la Bastiglia come se avesse davanti il più acerrimo dei nemici.
“Puntate sulla parte alta della fortezza” ordinò.
Quando tutti cannoni furono caricati e puntati verso la parte più vulnerabile dell’edificio e i soldati, le torce in mano, aspettavano solo l’ordine del loro comandante per accendere le micce, Oscar gridò di fare fuoco con tutta la rabbia che aveva in corpo, il dolore, la sofferenza accumulata. La spada in alto, come ad indicare ai cannoni che continuavano a sputare palle di ferro l’esatto bersaglio da colpire.
Grazie alla forza dirompente dei pezzi di artiglieria, gli attacchi popolari cominciarono a sortire una certa efficacia e Oscar, accorgendosene, non poté trattenere un risolino che sembrava più una smorfia, vista la totale assenza che caratterizzava il suo sguardo e anche lei se ne stupiva, realizzando che il pittore che l’aveva ritratta forse aveva avuto ragione nel dire che il desiderio della battaglia bruciava letteralmente dentro di lei. Consapevole che le palle di ferro avrebbero presto aperto un varco tra le mura, la donna continuava ad ordinare di fare fuoco, incurante della posizione di prima linea che aveva assunto. Nel frattempo osservava con attenzione la spaccatura del muro, valutando il tempo che sarebbe stato necessario per forzare completamente le ultime difese nemiche e il suo sguardo, già orientato verso l’alto, gli occhi spalancati per la tensione del momento, venne completamente catturato da una colomba bianca che, da sola, volteggiava in circolo sulla sua testa, in mezzo ai fumi intensi della polvere da sparo e della terra sollevata dalla furia del popolo che continuava a lanciarsi verso la fortezza.
Non li sentì arrivare.
Sentì solo dei colpi che la scossero violentemente.
Si portò le mani sul petto, nell’istintivo tentativo di coprirsi da quel dolore che sopraggiunse subito dopo, e cadde rovinosamente per terra.
Il sangue cominciò a fare la sua comparsa, ma lei non se ne accorse nemmeno: sentiva delle fitte partire da più punti del suo corpo, così incredibilmente intense da impedirle di respirare.
Riuscì a sollevarsi parzialmente, mettendosi carponi e sentì una parte di sé costringerla a guardare ancora in alto, verso quella colomba che continuava a volteggiare in modo circolare sopra di lei.
E finalmente lei comprese.
«André.. sto per..»
Raggiungerti
Avrebbe voluto dire, ma non riuscì a reggersi in piedi, cadendo nuovamente, la testa di lato. Sentì qualcosa di liquido scivolarle lungo la tempia, la guancia, ma non riusciva a muovere nemmeno un dito.
«Comandante! Comandante rispondete! Abbiamo bisogno di voi Oscar! Comandante
Oscar!!»
Alain, Rosalie, Bernard e gli altri soldati della guardia, le si erano avvicinati.
«Alain.. non è necessario che urli così.. ti sento benissimo, Alain..»
Riuscì faticosamente a dire, poi arrivò il buio.
Quando si riprese, senza però avere la forza di aprire gli occhi, comprese di non essere sola e sentì Rosalie piangere, mentre sentiva qualcosa di morbido carezzarle il viso e le dita leggere della donna sul suo volto.
Non piangere Rosalie, ti prego. Solo adesso mi sento in pace, finalmente. Sto per raggiungere André. Lo vedo già, in mezzo a voi, mentre sorride e mi tende la mano per portarmi via con sé[1].
Amore, amore mio, portami via, ti prego, portami via da questo immenso dolore.
Anche per te è stato così doloroso? Hai sofferto così tanto anche tu?[2]
Aspetta, aspettami.
Devo fare ancora una cosa.
L’immagine si allontanò e Oscar riuscì a tornare alla realtà.
Aprì gli occhi e, nel pezzo di cielo che poteva vedere, vide su di sé ancora quella colomba bianca.
«Perché non sento più il rumore dei cannoni? Continuate a sparare, continuate a sparare: noi dobbiamo prendere la Bastiglia..! Alain, da’ tu gli ordini..!»
«Ascoltate soldati! Avanti tornate tutti ai cannoni, svelti!»
«Sparate.. sparate sempre..»
«Andiamo..!»[3]
Continuava a fissare la colomba in cielo, e una parte di sé avvertì quelli che dovevano essere i suoi soldati correre via per raggiungere il campo di battaglia.
Sentiva le forze abbandonarla lentamente ma inesorabilmente verso un luogo in cui, lo sentiva, sarebbe stata meglio. Respirava a fatica e sapeva che ormai era solo questione di tempo prima che la morte sopraggiungesse liberandola non solo dal dolore fisico, ma da quello interiore che non aveva mai smesso di urlare dentro di lei da quando lui era morto, lasciandola sola.
Non temeva la morte, non l’aveva mai temuta, ma prima di lasciare la sua vita voleva sapere che non aveva combattuto invano, che in futuro qualcun altro avrebbe potuto vivere in maniera degna, senza disuguaglianze né limitazioni di libertà.
Dopo un tempo che non riuscì a quantificare, sentì la voce di Bernard:
«Riesci a sentire, Oscar? È il popolo che sta attaccando la Bastiglia..»
«Si.. lo sento..»
Le cannonate, gli spari, le urla della gente agonizzante o felice per la riuscita di quella mastodontica impresa, si attutirono sempre più fino a scomparire completamente.
E vide André, passare accanto ai suoi amici e venirle incontro, con la divisa dei soldati della guardia, come l’ultima volta che l’aveva visto. Le sorrise e lei sentì il cuore scoppiarle in petto per la gioia di vederlo, di sentirlo ancora con sé.
«Oscar, sono qui, vieni con me»
Non sentì più nessun dolore.
Strinse la mano di André e lo raggiunse.
Avrebbe voluto dire a Rosalie di non gridare, di non disperarsi per lei, perché adesso era felice.
**
EPILOGO
Bretagna, 1814
I periodi che trascorreva in provincia erano stati da sempre quelli che Françoise preferiva. Dalla dimora di famiglia poco fuori Brest poteva facilmente raggiungere la città e, anche se aveva dei domestici, non perdeva occasione di andarvi lei stessa, insieme alla fedele Ninon, sua balia prima e, adesso, cameriera personale, che la accompagnava per negozi e per le viuzze della città, tra le bancarelle, nei giorni di mercato, preoccupandosi sempre che non prendesse freddo perché una sua nipote era morta di polmonite e, da allora, non soltanto non usciva da casa senza uno scialle addosso, anche in piena estate, ma pretendeva che anche chi fosse con lei stesse attento alla propria salute.
Quel giorno Françoise aveva deciso di accompagnare Ninon nella zona mercantile della città ma poi, stanca delle interminabili attese di fronte ai banchi degli ambulanti, aveva dichiarato di non poterne più di tutta quella confusione e che l’avrebbe aspettata sul lungomare, dall’altro lato della piazza, oltre la strada che costeggiava il litorale.
«Ma mademoiselle Françoise..»
«Non temere Ninon, da qui potrai vedermi. Vedi – ed indicò un punto imprecisato di fronte a sé – mi troverai lì ad aspettarti. E poi ti prego, ti prego! Non chiamarmi Françoise: il mio nome è Oscar»
E uscì da quella confusione a piccoli passi, con un sorriso furbo tra le labbra, sapendo quanto la sua Ninon odiasse chiamarla col suo nome.
«Non è un nome che si addice una donna!» si lamentava sempre e lei, puntualmente, rispondeva che quello era il nome che le aveva dato suo padre e che a lei non dispiaceva affatto.
Il padre di Oscar, Louis - Jerome De Jarjayes[4] era stato un grande sostenitore della Rivoluzione Francese, nonostante le origini nobiliari, e per questa sua posizione, oltre che per la sua grande capacità di adattamento ai diversi umori politici e sociali, era stato risparmiato dalla triste fine di molti altri nobili. Aveva deciso di chiamare la sua ultima figlia come la cugina che era morta nel 1789 sotto la Bastiglia, rammaricandosi ogni volta che la pensava per non averla conosciuta meglio quando avrebbe potuto farlo. Ma, nonostante le sue idee, non aveva mia rinnegato il suo passato, le sue origini nobiliari. Semplicemente, aveva sempre creduto in mondo più giusto. E la figlia, cresciuta con un’educazione meno rigida rispetto a quella tipica delle donne del suo tempo, si sentiva orgogliosa di portare il nome della cugina di suo padre e di credere nei suoi stessi ideali.
Raggiunto il lungomare, Oscar si affaccio lungo la balaustra che separava la strada da un scoscendimento roccioso che portava ad una sottile strato di sabbia, antistante il mare e, chiudendo gli occhi, inspirò profondamente l’odore di salsedine, intensificato dalla piacevole aria proveniente da ovest.
Amava il mare più di ogni altra cosa.
Si voltò verso le bancarelle e, mentre cercava di trattenere i capelli castani che, seppur legati, le andavano davanti agli occhi, considerò che Ninon ne avrebbe avuto ancora per un bel po’ e non poté trattenere una smorfia di disappunto. Guardandosi intorno, scorse una panchina che si affacciava verso il mare e tirò fuori il librettino che aveva nella sua borsetta di raso color avorio, decisa a leggerne qualche riga in attesa che la sua cameriera finisse. Ancora in piedi, apparentemente incerta sul da farsi, aveva tra le mani il libro, la testa bassa a scorgerne il titolo, Delfina[5], e non si accorse della figura che letteralmente la travolse, facendole cadere il libro tra le mani.
«Perdonate, mademoiselle!»
«Lasciate stare monsieur! Ci penso io!»
Disse seccata, abbassandosi a raccogliere il suo libro, senza nemmeno guardare l’uomo – lo comprese dalla voce – che era andato a sbattere contro di lei.
«Lasciate che vi aiuti..»
«Non disturbatevi, mon-»
Quando alzò gli occhi verso il ragazzo che aveva davanti, sentì un colpo alla bocca dello stomaco e sgranò gli occhi per lo stupore.
«Vi sentite male, mademoiselle?»
«N-no» disse senza poca convinzione, pensierosa. Era un bel ragazzo, più o meno della sua stessa età. Indossava abiti borghesi, puliti e ordinati. Sotto il braccio un giornale e alcuni libri. I capelli scuri legati con una coda e gli occhi verdi, profondi e dannatamente espressivi.
«Scusate.. buona giornata» concluse lei, cercando di ritornare in sé, dandosi quasi della stupida, e facendo qualche passo per andare via.
Quel ragazzo.
Doveva averlo già visto da qualche parte.
Era un bel ragazzo, senza dubbio, ma non era questo che l’aveva colpita.
Sentiva che c’era qualcosa di inspiegabile tra di loro. Difficile da definire.
«Mademoiselle!»
Si sentì chiamare la ragazza mentre ancora rimuginava su quello strano incontro. Si voltò verso la voce.
«Perdonatemi. Scusate per i miei modi impacciati di poco fa. Io.. ci siamo già visti prima? Non fraintendetemi, vi prego, non sono quel tipo d’uomo. È che ho come l’impressione che questa non sia la prima volta che vi incontro..»
Vedendo che la ragazza lo guardava con uno sguardo indecifrabile, senza rispondergli, considerò che probabilmente doveva sembrarle il classico furfante importuno.
«Scusatemi ancora se vi ho importunata, madamoiselle»
Disse con lo sguardo di chi era perso in elucubrazioni sconosciute e, accennando un breve inchino di commiato, si voltò dall’altra parte per andare via.
«A.. Aspettate monsieur!»
La voce di lei tremava per l’imbarazzo. Lui ritornò sui suoi passi, la guardò e la sua bocca si aprì in un sorriso.
Era bella, dannatamente.
Bella dar far male.
Ma non era solo questo.
Sentiva di essere indissolubilmente legato a quella ragazza sconosciuta, non sapeva come, ma sentiva che era così.
«Io sono Oscar, Oscar Françoise De Jarjayes»
«A-André Grandier»
Si presentò lui, inchinandosi e poggiando le labbra sul dorso della mano che lei gli aveva allungato.
Fine
Cetty
Nota dell’autrice: E dopo poco più di un anno siamo finalmente alla fine di questa lunga e per me interminabile fanfiction. Forse molti di voi avrebbero sperato in un finale diverso da quello originale, in cui Oscar e André, gli originali ^_^, avrebbero vissuto felicemente ma, ahimé, non riesco ad immaginare un finale diverso. Però d’altra parte non riuscivo ad accettare una conclusione triste dopo tredici capitoli e ho voluto dare questo epilogo puntando su una seconda vita dei nostri, che si dovrebbe prospettare migliore della precedente. Non ho voluto dilungarmi oltre perché, da epilogo, si sarebbe trasformato nell’incipit di una nuova storia: chissà che non lo sarà, un giorno.. Non saprei: non sarebbe la prima ff che affronta il tema della “reincarnazione” dei nostri e i riferimenti ad altri lavori sarebbero inevitabili.
Voglio concludere ringraziando tutti coloro che hanno letto questa storia, sperando che il mio punto di vista sulle vicende di Oscar e André vi sia piaciuto!
Cetty (mail to: cetty_chan@virgilio.it)
[1] Piccola licenza che mi sono voluta prendere. Per esperienza personale, posso dire che è vero che quando si sta per morire si vedono spesso le persone care che ci hanno preceduto. Ovviamente non è successo a me personalmente, ma ho assistito ad una vicenda di questo tipo e vi assicuro che, per quanto possa far venire i brividi, accade.
[2] Qui, ovviamente, sto riprendendo alcune battute del manga.
[3] Considerando che la scena è vista dal punto di vista di Oscar, ho dovuto - ahimé - omettere la commozione di Alain e degli altri soldati..
[4] Personaggio totalmente di mia invenzione!
[5] Romanzo pubblicato da Madame De Stael nel 1802.