UNA VITA

CAPITOLO X

"Giuramenti eterni"

 

Le prime luci dell’alba facevano capolino nella camera da letto attraverso la finestra di cui Oscar aveva dimenticato di accostare le tende, illuminando la stanza di un leggero biancore lattiginoso, tipico delle prime ore del mattino. Soffermava il suo sguardo sul soffitto riccamente decorato della stanza, focalizzando l’attenzione sulle tinte pallide degli affreschi illuminati a poco a poco dalla luce che entrava sempre di più nella stanza, mentre il pensiero, che non l’aveva abbandonata per tutta la notte impedendole di prendere sonno, si concentrava su un unico, grande problema. Ogni tanto, qualche colpo di tosse la faceva sussultare e si portava il fazzoletto di cotone davanti la bocca per evitare di sporcare di sangue le lenzuola. Ogni colpo sembrava strapparle i polmoni fuori dal petto.

 **

La sera prima 

Il sole era appena tramontato quando Oscar, recuperato César, si era diretta a Parigi dal dottor Lassonne, scusandosi per l’ora in cui chiedeva di essere ricevuta e pregandolo di un’urgente visita medica. 

«Potete alzarvi, madamigella»

«Grazie» 

La donna prese ad abbottonarsi la giacca dell’uniforme, mentre l’uomo, alle sue spalle, rimaneva seduto sulla sua poltrona, fissandosi le mani per cercare di trovare le parole giuste da dire alla sua paziente.

«Niente di preoccupante. Si tratta semplicemente di una tosse prolungata».

Ma quando Oscar, consapevole della bugia, disse di sapere di essere gravemente malata e di voler sapere tutta la verità, l’uomo non poté più mentirle, confermandole i suoi timori[1]. 

«La tubercolosi non è incurabile. In diversi casi si è giunta ad una completa guarigione con un’alimentazione adeguata e riposo, naturalmente..»

«Ascoltatemi dottore. Io non voglio certo morire. Ho molte cose importanti da fare e desidero sapere tutto quello che mi aspetta. Quindi ora.. dovete dirmi tutta la verità, dottore»

«Sareste dovuta venire da me molto prima.. appena sono apparse le prime febbriciattole.. Ecco, vedete, non voglio certo dire che sia già troppo tardi, ma in questo modo abbiamo perduto del tempo prezioso.. Adesso vi dico tutto quello che è necessario fare. Voi dovete abbandonare il servizio militare e andare a vivere in un posto tranquillo.. E’ importante che serbiate il riposo più assoluto, allontanando da voi qualsiasi emozione. E poi dovete alimentarvi in modo appropriato.. Ma se non farete quello che vi ho detto, temo che voi non vivrete più di sei mesi, Oscar»

«Vi ringrazio molto per la vostra chiarezza.. Vi sono molto grata, dottore» 

Lui non ebbe nemmeno la forza di risponderle, ma solo di coprirsi il volto con la mano per tentare di nascondere le lacrime che avevano iniziato a scorrergli lungo le guance. Conosceva quella donna sin da quando era una bambina e più di una volta aveva curato i malanni e le sue ferite e non riusciva a mantenere quell’impassibilità che il suo mestiere avrebbe richiesto in simili circostanze.

Si era voltata e aveva fatto pochi passi per lasciare la stanza, quando le parole del medico la bloccarono sulla soglia. 

«Ah! Madamigella Oscar.. scusatemi! Volevo chiedervi: come sta il vostro André? Sono preoccupato per lui: è da diverso tempo che non viene più da me»

«Non capisco..! Che cos’ha André, dottore?» disse lei impallidendo.

«Eh?! È mai possibile che André non ne abbia fatto parola con voi, che abbia tenuto tutto dentro di sé?»

«Perché? Che cos’ha?! Che cosa avrebbe dovuto dirmi?!»

«Qualche tempo dopo la perdita dell’occhio sinistro, André venne da me per dei disturbi a quello destro. Aveva bisogno di riposo mentre lui, incurante dei miei suggerimenti, aveva continuato a svolgere le mansioni di sempre. Gli consigliai di parlarvene, affinché gli potesse essere assegnato un altro tipo di incarico perché, se avesse continuato di questo passo, c’era la possibilità che potesse perdere la vista da entrambi gli occhi.» 

Oscar era rimasta in silenzio, attenta ad ascoltare quelle spiegazioni che a suo tempo avrebbe dovuto darle il suo attendente. 

«Sarà passato poco più di un anno, l’ultima volta che è stato qui. Avrebbe seguito il mio consiglio, così mi aveva detto»

«André adesso fa parte della Guardia Francese.. è uno degli uomini della mia compagnia..»

L'uomo sgranò gli occhi.

«Mi dispiace, madamigella Oscar ma in breve tempo André perderà anche l’occhio destro»

sentenziò infine.

A quel punto ebbe la certezza che il mondo le sarebbe crollato addosso.

 

*

 

Non le aveva detto niente perché sapeva che se fosse stato destinato ad una mansione diversa da quella di suo attendente, non avrebbe più potuto starle vicino come aveva sempre fatto.

E, persino quando lei gli si era rivolta con durezza, dicendogli che non aveva più bisogno di lui, egli aveva scelto nuovamente di seguirla e di conseguenza di continuare a tenere il segreto, nonostante il modo in cui l'aveva trattato e la certezza che lei non corrispondeva i suoi sentimenti.

Pensieri di questo tipo le avevano martellato il cervello per tutta la notte, pensieri che l’avevano quasi fatta fuggire via da Parigi e tornare verso casa, dove nemmeno l’intimità della sua stanza era riuscita a darle un po’ di pace.

Era profondamente arrabbiata con se stessa perché al senso di colpa dovuto all’incidente col Cavaliere Nero, con cui faceva i conti ogni volta che guardava il ciuffo di capelli che gli copriva parte del suo volto, e quello di essere suo malgrado destinataria di un sentimento che fino a poco tempo prima aveva creduto di non poter corrispondere, si aggiungeva adesso la colpa di non essersi mai accorta delle sofferenze che André aveva sicuramente provato nel perdere gradatamente la vista, e la sua disperazione si acuiva di più al pensiero di quanta paura lui avesse provato nel rendersi conto del suo peggioramento, l'incontrovertibilità di tale evento e, non ultimo, il peso di doverlo tenere nascosto a tutti, lei compresa. 

Si era arrabbiata per l’ostinazione di lui nel continuare a starle vicino e, anche se con le settimane aveva accettato di buon grado la sua presenza, traendone anche un certo conforto viste le iniziali difficoltà che aveva avuto col nuovo incarico, non si era mai chiesta come stesse veramente, se non in occasioni circoscritte. 

Non riusciva a darsi pace mentre stringeva tra le mani il ciondolo a forma di rosa, accarezzandolo tra le dita e sperando quasi che potesse darle quel conforto, quella consolazione, di cui sentiva di aver necessariamente bisogno.  

E, nel ricordo della dolcezza con cui le aveva fatto quel regalo, dopo mesi di indifferenza da parte di lei, completamente all’oscuro delle sue condizioni, credeva di impazzire perché comprendeva tutto il male che gli aveva fatto. 

Adesso era ora di cambiare: avrebbero trascorso in maniera diversa il tempo che Dio aveva loro concesso.

 

*

 

Mentre terminava di abbottonarsi la giacca della divisa, la governante entrò nella stanza, portandole la colazione e chiedendole a che ora sarebbe rientrata. Avrebbe preferito rimanere con i suoi soldati in caserma – le risposte - ma, quando la nonna le fece notare che Armand era atteso quel pomeriggio per concludere il quadro che lei si era fatta commissionare, la rassicurò che sarebbe tornata il prima possibile e, nell'eventualità, le raccomandò di far attendere l'artista. 

Attraversava la campagna per raggiungere la capitale al galoppo perché non vedeva l'ora di raggiungere la caserma.

Non vedeva l'ora di rivederlo.

Nonostante tutto, per qualche minuto si sentì leggera come non mai.

In città la gente si armava, pronta a combattere contro gli eserciti inviati dal re ma, per quanto banale lei stessa potesse considerarlo, quella brezza estiva che odorava di floreale le diede un barlume di speranza e, urlò al suo cavallo di andare più veloce.

Arrivò col fiatone in caserma, considerando che da quel momento in poi avrebbe dovuto riguardarsi di più, viste le sue condizioni di salute. 

Entrando nel suo ufficio, ebbe appena il tempo di aprire la finestra e di sedersi alla scrivania per controllare se ci fossero ordini particolari, quando venne raggiunta dal colonnello d'Aguille, con cui scambiò alcune battute sulla strana calma che quella mattina sembrava aleggiasse in caserma, situazione che il suo secondo motivò informandola al contempo che la compagnia A era stata chiamata al servizio d'ordine in città, in aggiunta agli eserciti che già presidiavano la capitale.

Nel vedere il volto preoccupato del suo comandante, il colonnello la rassicurò che c'era già un esercito a Parigi e che, con molta probabilità, non avrebbero coinvolto la loro compagnia.

Fece per congedarsi ma, prima di uscire dall'ufficio, si permise di suggerire ad Oscar di tornare a casa perché era pallida e sicuramente doveva essere stanca.  La donna si sentì colta in fallo e cercò di rispondere con un tono convincente e assolutamente tranquillo, che lei stava benissimo, ma si sentì una sciocca quando subito dopo, il colonnello gli disse che la moglie era morta di tisi l'anno prima e che conosceva bene i sintomi di questa terribile malattia.

Le si strinse il cuore nel vederlo così commosso, forse per il ricordo ancora vivido della moglie morta o, forse, sinceramente in pena per lei e, a questo punto, confermando tacitamente i sospetti di D'Aguille, gli rispose che avrebbe seguito il suo consiglio: sarebbe tornare a casa e si sarebbe riposata.

Almeno, fino a quando ciò le sarebbe stato possibile.

 

*

 

Alain attese i soliti due o tre secondi necessari al suo amico per focalizzarlo davanti a lui, poi fece un cenno con la mano, indicando la porta degli alloggi, dicendogli che il comandante aveva chiesto di lui.

«Che cosa? Oscar mi vuole?»

Negli ultimi giorni il clima in caserma era quanto mai teso e la calma che si avvertita era soltanto apparenza: persino i suoi compagni, che generalmente approfittavano delle ore di riposo per divertirsi allegramente, quasi bisbigliavano sui disordini nella capitale, chiedendosi cosa avrebbero dovuto fare come militari, qualora avessero ricevuto l'ordine di intervenire, oppure come semplici uomini. Si aspettavano da un momento all'altro che la loro compagnia ricevesse lo stesso ordine di quell'altra, che era partita in assetto da combattimento proprio quella mattina all'alba. Qualcuno valutava di dover anteporre il ruolo di militare a quello personale, ritenendo impossibile trasgredire ad ordini superiori per i quali erano peraltro stipendiati; qualcun altro, invece, valutava la possibilità di togliersi l'uniforme e combattere insieme al popolo per dei sacrosanti motivi. 

Del resto, anche lui pensava spesso a tutto questo ma, come stranamente faceva anche Alain, non dava mai la sua opinione, limitandosi ad osservare e ad ascoltare gli altri. 

Si alzò dalla branda, sperando che non ci fossero brutte notizie, e si diresse verso l'ufficio del suo comandante. 

Bussò una, due volte, ma nessuna risposta si udì dall'interno della stanza; poi si decise ad entrare, perché sapeva che non se la sarebbe presa: in fondo l'aveva fatto chiamare lei.

Aprì la porta. La grande finestra di fronte gli procurò il solito fastidio che conosceva bene e, nonostante la luce l'avesse abbagliato al punto da non riuscire a vedere assolutamente niente, entrò nella stanza, sicuro che lei fosse seduta alla sua scrivania, proprio di fronte a lui. 

«Soldato della Guardia Grandier ai vostri ordini. Dite pure comandante» 

Nessuna risposta. 

«Volevo domandarvi una cosa, comandante: non sono perfetto? Non sono forse diventato un ottimo soldato della guardia? Eh?»

E così dicendo, si permise una fragorosa risata, nel tentativo di coinvolgere anche lei in un atmosfera più leggera di quella che li circondava. Oscar, appoggiata alla parete laterale con le braccia conserte, fece uno sforzo sovrumano per rimanere in silenzio, evitando di far scoprire la sua presenza in quella stanza.

Voleva vedere lei stessa quali fossero le effettive condizioni di André. 

Non ricevendo nessuna risposta, l’uomo strinse le palpebre per focalizzare meglio davanti a sé e si accorse che la sedia in cui la donna sarebbe dovuta essere seduta, era completamente vuota. 

«Ma che strano.. prima mi fa chiamare e poi se ne va..» 

A questo punto non aveva molto senso rimanere nella stanza, non sapendo quando sarebbe tornata e uscì dalla stanza, contando mentalmente i passi che lo separavano dalle camerate. 

Oscar si sentì morire constatando quanto grave fosse la situazione. 

Uscì velocemente dall'ufficio, facendo attenzione a non farsi sentire dall’uomo, distante da lei di qualche metro, che intanto usciva dall’edificio percorrendo il corridoio esterno coperto sostenuto nella parte più esterna da una fila di colonne, e scese i due gradini tra le colonne raggiungendo l’ampio cortile. 

«André, immagino che mi avrai cercato nel mio ufficio. Mi sono dovuta allontanare un momento, scusami» disse chiamandolo da un punto imprecisato del patio in terra battuta, fingendo di provenire dall'edificio accanto.

L'uomo si voltò in direzione della voce, constatando con una certa sorpresa la dolcezza del tono e maledì per l'ennesima volta quel problema che gli impediva di guardarla negli occhi mentre le rispondeva che non aveva importanza e le chiedeva cosa volesse.

Non si era mai avvicinata così tanto, quanto meno non in caserma: sotto gli sguardi degli altri soldati, aveva salito i due gradini e gli si era posizionata davanti, guardandolo negli occhi. Adesso che era così vicina poteva vederla meglio. 

«Siamo in attesa di ordini, così pensavo di tornare a casa con te»

«So di quali ordini parli, e preferisco restare con i miei compagni» 

Si pentì subito di questa risposta che poteva sembrare un tantino acida ma che in effetti era stata soltanto una normale constatazione, e sperò che non girasse i tacchi andandosene via.

Ma al contrario, accadde l'impensabile.

La donna gli strinse la mano destra tra le sue, avvicinandosela. Gli disse che stavolta voleva che lui venisse con lei e, anche se il tono di voce era sicuro come al solito, André avvertì un qualcosa di diverso nelle sue parole, come se contenessero un significato specifico diverso da quello letterale. Sgranò gli occhi per lo stupore, davanti al suo sorriso che era divenuto quasi estraneo sul volto che amava tanto e, ripresosi subito dopo, non poté esimersi dal ricambiarlo quando lei, cercando di trovare una giustificazione a quella richiesta, gli disse che le strade erano pericolose e lei aveva paura di percorrerle da sola.

 

Cos'è che ti fa stare così, Oscar?

Sono io?

Dimmelo, ti prego. Se sono io che ti provoco tutto questo.

Dimmelo.

 

*

 

André sperava che il tempo si fermasse.

I due destrieri camminavano al trotto e i due cavalieri si godevano i caldi raggi del sole che li colpivano; il caldo estivo era arrivato tutto in una volta e, nonostante indossassero le uniformi estive, l'umidità di quella giornata rendeva fastidioso quel tessuto che si appiccicava sulla pelle.

André, libero finalmente dal rigore della caserma, si tolse il cappello d'ordinanza slacciando il primo bottone dell'uniforme, sperando di poter ottenere un leggero refrigerio. Anche Oscar, dopo aver osservato la scena, lo imitò, commentando che non se ne poteva proprio fare a meno.

Non ci furono molte parole, ma l'uomo constatò piacevolmente che Oscar non avanzava davanti a lui, come aveva sempre fatto, ma preferiva rimanere al suo fianco.

Più di una volta si accorse degli occhi di lei puntati addosso, che si abbassavano quasi subito quando lui la guardava di rimando, accorgendosene, e un mezzo sorriso di lei che ne seguiva, come di imbarazzo, per quello che per lei doveva essere un atteggiamento del tutto estraneo alla sua persona.

E in momenti come questi, anche a lui non sfuggiva un sorriso di pura gioia, mentre lei ritornava ad osservarlo, ed entrambi scoppiavano in improvvisi e apparentemente immotivati scoppi di ilarità.

Non c'è che dire, Oscar, oggi sei proprio diversa dal solito.

 

*

 

La luce pomeridiana illuminava il salottino a piano terra in cui il pittore aveva chiesto ad Oscar di posare per quell'ultimo giorno; affacciandosi dal medesimo lato della camera di lei, rappresentava uno dei luoghi più adatti in quella stagione dell'anno, poiché la luce vi entrava da mezzogiorno fino al tramonto e, una volta che il quadro fosse stato terminato, sarebbe risultato molto più semplice esporlo alla pubblica ammirazione. 

«Madamigella Oscar, vorrei che teneste gli occhi aperti»

«Scusate» disse sorridendo per mascherare lo sforzo di dover resistere ancora a lungo con la testa dritta.

«Finirò entro pochi minuti. Sto cercando di rubarvi il colore degli occhi: se riesco in questo il quadro è perfetto» 

Il generale Jarjayes e la nonna di André aspettavano da lontano che monsieur Armand terminasse il suo lavoro, ansiosi di conoscere il risultato finale. Alle loro spalle si aggiunse André, in quegli abiti comodi che ormai indossava raramente, non solo perché non tornava più tanto spesso a casa ma anche perché, in quelle rare occasioni, per il poco tempo che aveva a disposizione prima di andare a dormire non valeva nemmeno il tempo di cambiarsi d'abito.

La donna si accorse della sua presenza, pur non potendosi muovere dalla posizione che aveva assunto, avendo sentito la nonna rivolgergli alcune parole. 

«Ecco si, adesso ho finito. Ecco signor generale» 

Concluse invitando il conte ad avvicinarsi per vedere il risultato della sua opera ed anche la balia seguì il suo padrone, mentre Oscar tirava un sospiro di sollievo, libera finalmente di assumere una posizione più naturale. 

«Ma.. rappresenta Marte, il dio della Guerra..»

«Si, signor generale. Ho pensato che.. nonostante la soavità di uno sguardo limpido come l'acqua, il desiderio della battaglia brucia dentro di lei come un fuoco incontenibile. Nel caso non vi piacesse ho pensato di tenerlo per me: lo giudico il più bel quadro che io abbia mai fatto»

«No, questo quadro rimarrà qui. Sei stato perfetto nel cogliere i due volti di Oscar» 

Oscar sorseggiava lentamente il vino che la nonna di André aveva servito al pittore e ai suoi padroni, e ascoltava appena i commenti entusiastici dei due uomini sull'ottimo lavoro svolto dall'artista.

Era infatti completamente assorta nell'osservare André che rimaneva ostinatamente in disparte, ai margini dell'area, fino a quando non fu la nonna a richiamarlo invitandolo ad ammirare il meraviglioso quadro. 

L'uomo venne avanti molto lentamente, temendo il momento in cui si sarebbe trovato a dover dare una sua opinione e ringraziò il cielo quando, subito dopo essersi accostato a sua nonna, il generale disse al pittore di seguirlo nel suo studio per il compenso e la nonna si allontanò nelle cucine per svolgere le sue tradizionali mansioni. 

«André, vuoi che porti anche a te un po' di vino?»

«Si, certo nonna» 

Un po' di vino? Mi ci vorrebbe molto di più per affrontare tutto questo. 

Intanto, Oscar si era seduta in una poltrona di fronte alla parete in cui era stato appeso il quadro. André, consapevole di non potersi sottrarre all'inevitabile, cercò di facilitarsi quanto meno le cose ponendosi  alla distanza di circa un metro dal quadro, rimanendo in piedi poco più avanti della donna.

Sapeva che Oscar si aspettava che dicesse qualcosa e, sforzandosi per cercare mettere a fuoco l'immagine di fronte, si rese conto, con rammarico, di non riuscire a distinguere correttamente nemmeno il viso. 

«È bello al di là di ogni descrizione! Il tuo sorriso è così luminoso che sembra accentrare su di sé tutta la luce del mondo. Anche la corona di alloro che hai sui tuoi meravigliosi capelli biondi si accende di luce viva» 

André.. non tentare l'impossibile.. Lo so che tu non vedi più bene.. In quel quadro io non ho una corona d'alloro.. 

pensò la donna mentre sentiva lo stomaco contrarsi e voltava il viso per nascondere le lacrime che non riusciva più a trattenere osservando come André tentasse in tutti i modi di descrivere i dettagli di un quadro che non riusciva nemmeno a vedere. E sentiva il dolore intensificarsi di più, man mano che lui le descriveva dell'infinità di rose bianche, che gli ricordavano Arras e i luoghi che frequentavano da bambini, perché se per lui i ricordi più belli erano quelli della loro infanzia, ciò significava che i suoi anni insieme a lei, in quella vita, non erano stati del tutto felici per lui e non poteva non sentirne il peso della responsabilità. 

«La tua bellezza e la tua nobiltà sono espresse in modo superbo: non dimenticherò mai la bellezza che traspira da questo quadro, come non dimenticherò mai la tua vera bellezza, Oscar»

«Sei molto caro con me, André.. ti ringrazio di cuore» gli disse ma avrebbe voluto abbracciarlo e chiedergli scusa per tutto il male che sentiva di avergli fatto.

Adesso che gli dava le spalle e non sentiva il peso di sguardi estranei addosso, si sentiva libera di osservarlo e di pensare a lui nella maniera che aveva imparato a fare da qualche tempo.

 

Il pomeriggio si avviava quasi al suo termine e la luce tenue che precede il tramonto addolciva quell'atmosfera carica di qualcosa che la donna sentiva, percepiva intorno a sé, ma che non riusciva a definire con chiarezza. 

Dolore.

Amore.

Amarezza.

Paura.

Malinconia.

Nostalgia.

Desiderio. 

Doveva assolutamente dirglielo.

Non poteva più attendere.

Ormai non c'era più tempo. 

Si alzò dalla poltrona e gli si avvicinò alle spalle mentre lui, intento ad osservare ancora il quadro, nella speranza di rassicurarsi che quello che avesse detto a lei corrispondesse a verità, non si era accorto di lei e trasalì, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. 

«Senti André»

Disse lei schiarendosi la voce. L’uomo si voltò, sorpreso, e attese che lei continuasse.

«Ho bisogno di parlarti, verresti con me, per favore?»

«S.. si, certo, andiamo» rispose senza nascondere la sua sorpresa. 

Cominciarono a salire le scale verso il piano superiore: a piano terra c’era un andirivieni che non le avrebbe consentito di parlargli a quattrocchi e l’argomento che doveva affrontare richiedeva una certa discrezione. Voleva sapere da lui tutto quello che non le aveva mai detto, i suoi pensieri, i problemi al suo occhio e anche lei doveva confessargli le sue condizioni di salute.

Avevano appena terminato di salire la rampa di scale che all'improvviso sentì chiedere di lei da una voce che riconobbe essere quella di Alain e corse verso la balaustra affacciandosi verso il basso, seguita da André. 

«Comandante! Abbiamo un messaggio urgente per voi da parte del colonnello D'Aguille»

«Parla Alain! Quel è questo messaggio?»

«Comandante» disse solennemente mettendosi sull'attenti «vi informo che l'ordine che aspettavamo dal Quartier Generale è arrivato. Alle otto di domani mattina, il nostro reggimento dei soldati della guardia deve recarsi a Parigi e collaborare con le altre truppe: l'ordine è di soffocare la rivolta armata»

«Doveva accadere» 

La voce le morì in gola e non seppe cos'altro dire. Non c'era niente da dire. 

«Adesso voi tornare pure nei vostri alloggi: vi raggiungerò tra un po'» 

Alain e i due uomini insieme a lui fecero il saluto militare e lasciarono palazzo Jarjayes.
«André.. preparati ad andare» 

Teneva la testa bassa, in mente la preoccupazione per l’inevitabilità di quell’ordine che sperava non arrivasse mai.

«D’accordo»

Disse in risposta lui, mentre realizzò di dover trovare da qualche parte il coraggio di dirlo a sua nonna. 

Oscar.. Cosa faremo adesso? 

Si separarono.

Oscar raggiunse la sua camera e poco prima di chiudere la porta alle sue spalle, sentì la sua balia urlare disperata al nipote che era una follia, che non potevano andare via così, mentre lui cercava in tutti i modi di rassicurarla sul fatto che non avrebbero corso nessun rischio.

Dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, vi si appoggiò contro, esausta e profondamente addolorata per la disperazione di quella donna che l'amava come se fosse figlia sua, consapevole dell'inaudito dolore che stava provando.

Indossò la divisa con estenuante lentezza, osservando la sua camera, quella parte della sua casa in cui aveva trascorso la maggior parte del suo tempo da quando era nata, ad esclusione di quello dedicato al suo incarico, ovviamente. E realizzò con amarezza che, probabilmente, era l'ultima volta che vi metteva piede e che poteva essere l'ultima volta che vedeva la sua famiglia.

Suo padre.

No, non avrebbe avuto il coraggio di salutarlo.

Gli avrebbe lasciato un biglietto.

 

*

 

«Non accadrà niente di quello che pensi, nonna, stanne certa» 

André, parlava con il tono più sereno che la gravità del momento gli permetteva, nel tentativo di rassicurare l'anziana donna che l'aveva accompagnato nella sua stanza e lo stava riempiendo di raccomandazioni. Doveva accettare l'idea che il nipote fosse già un uomo adulto, ma ai suoi occhi era sempre il ragazzino che si ostinava a chiamare la sua padrona con il solo nome di battesimo.

Oscar.

Si ricordò di quella terribile sera, in cui ebbe la conferma che suo nipote era innamorato della sua bambina. 

«Ho sempre saputo che prima o poi ti saresti innamorato di lei ed è per questo che non perdevo occasione di ricordarti quale fosse il tuo posto, André» 

Il ragazzo si avvicinò alla nonna, prendendole le mani. 

«Ma non è servito a niente» concluse con aria desolata.

«Nonna ascoltami», iniziò costringendola a guardarlo negli occhi.

«Io non mi pento di niente e non avrei mai voluto vivere da qualche altra parte» mentì, perché per un certo tempo ci aveva pensato, rinunciandoci quasi subito.
«Sono stato felice in questa casa e devo ringraziare te per questo. Non preoccuparti per me e per Oscar: torneremo presto» 

Gli sorrise e la donna sembrò calmarsi. Se lo strinse forte al petto, prima di lasciare la stanza asciugandosi gli occhi con un fazzoletto tirato fuori dal grembiule.

Non gli era mai piaciuto mentire, ma questa volta non aveva potuto evitare di farlo. Terminato di vestirsi, si sistemò le cinture dell'uniforme e, prima di richiudere la porta alle sue spalle, posò il suo sguardo sull'intera camera, di cui non riusciva a scorgere i dettagli, e sperò di potervi tornare presto, anche se in cuor suo sentiva già morta questa speranza.

Nel vestibolo del palazzo, trovò solo Luc, uno dei camerieri e, salutandolo, lo pregò di informare madamigella Oscar che l'aspettava nelle scuderie.

Il momento che temevano era arrivato e André si chiedeva cosa avrebbero fatto, una volta che fossero arrivati in caserma: avrebbero veramente partecipato agli scontri contro la folla?

Non lo credeva possibile.

Chissà cosa Oscar voleva dirgli poco prima dell'arrivo di Alain.

Forse voleva chiarirgli le sue intenzioni in merito?

E poi moriva dalla voglia di chiederle tante spiegazioni, per il suo comportamento di quell'ultimo periodo, in cui si era lasciata andare ad una vicinanza che non c'era mai stata prima, non ultimo l'episodio di quella mattina in cui quel suo gesto, quel suo sorriso, non era dettato da una qualche situazione contingente, ma solo dalla volontà di farlo.

Sentì dei passi che si avvicinavano e, d'istinto, si voltò verso l'ingresso delle scuderie dove una figura, che suppose si trattasse di Oscar, era ferma sulla soglia. 

«Vieni Oscar ti ho sellato il cavallo, possiamo andare» 

La figura si avvicinò, chiamandolo per nome. 

«Oh! siete voi signore, scusate!» 

Si corresse immediatamente, quando sentì la voce del generale Jarjayes che si era avvicinato, fronteggiandolo. 

«André, il tuo reggimento sarà a Parigi domani?» 

Lo sguardo di stupore divenne serio quando gli rispose affermativamente. 

«Credo che molto presto daranno quest'ordine anche al mio»

«Già..»

«Quindi è possibile che ad uno di noi succeda qualcosa e che non ci vedremo più»

«Si..»

«Così, ritengo doveroso dirti una cosa, André, una cosa importante. Ecco, se tu fossi stato un nobile avrei visto di buon occhio un matrimonio tra te e Oscar anzi, avrei caldeggiato questa unione dal profondo del cuore perché so che l'avresti fatta felice» 

Il generale pose le sue grandi mani sulle sue spalle, in un gesto affettuoso che mai André avrebbe sognato che lui potesse rivolgergli, in particolar modo dopo quello che era successo. 

«Spero che non ti accada niente. Lo desidero davvero, André»

«Oh.. vi ringrazio molto, signor generale» 

Sorrise André, felice del messaggio sottinteso che il generale gli aveva rivolto. Lo riteneva degno della figlia, anche se le differenze sociali non gli consentivano di sposarla e, a modo suo, gli aveva dato la sua benedizione. Poiché era ormai rassegnato al fatto che la figlia non avrebbe mai sposato nessuno, se era André la persona che le dava quella felicità che per colpa del suo egoismo le aveva per anni negato, accorgendosene soltanto quando il suo incarico si era fatto veramente pericoloso, allora non poteva che dare il suo consenso a quell'unione che credeva ci fosse già tra i due[2]. E anche se tra di loro non c'era proprio niente, André si sentì lo stesso immensamente felice.

 

*

 

Oscar, attenta a non farsi scoprire, aveva ascoltato le parole del padre che, preoccupato fino all'ultimo per la figlia, decideva che avrebbe perfino accettato di saperla con André, un semplice borghese, pur di saperla in qualche modo felice. E quelle parole le fecero un strano effetto: non si era mai considerata nei panni di una figlia ceduta come sposa ad un uomo.

 

*

Il sole tramontava mentre Oscar e André percorrevano la strada in terra battuta alla volta di Parigi, costeggiando la Senna. Le nuvole nel cielo erano tinte di un arancio intenso che cominciava a scurire anche gli alberi e il paesaggio nei dintorni.

Fino a quel momento la mente di Oscar era stata completamente occupata dalla preoccupazione per gli eventi in atto e, soltanto adesso, rilevava la possibilità di parlare con André. Anche perché a questo punto si chiedeva come avrebbe fatto l'uomo a seguirla in battaglia, nelle pessime condizioni in cui si trovava.

Ad un tratto, mentre cercava di trovare le parole adatte per iniziare la delicata conversazione, ai suoni conosciuti della natura intorno a loro, si aggiunsero delle voci umane, che aumentavano d'intensità sempre più, rivelando infine, sotto gli occhi dei due, che si erano fermati per osservare meglio, una folla di persone che venivano verso la loro direzione, ma dall'altra parte del  fiume. Tra le urla, i due compresero che il gruppo si stava dirigendo verso il palazzo degli Invalidi.

«Ma certo! Al palazzo degli Invalidi ci sono fucili, munizione anche dei cannoni, André!»

Intenti ad osservare la scena, non si accorsero che due uomini si erano posizionati alle loro spalle, puntando i fucili alle loro spalle. Quando spararono, sfiorandoli appena e facendoli sobbalzare, insieme ai propri cavalli, anche il resto della folla si accorse dei due soldati e, nel tentativo di prendere i loro fucili, iniziarono ad attaccarli gettando su di loro pietre e bastoni e qualunque cosa capitasse sotto loro mano.

«André. Qualunque cosa accada resta vicino a me»

L'uomo la guardò stupito ma non ebbe il tempo di chiederle spiegazioni: dovevano innanzi tutto fuggire da quella situazione. Mentre saltavano dentro la Senna coi cavalli, per allontanarsi il più velocemente da quel luogo e rallentare il gruppo che li inseguiva, André fu colpito a una tempia da un bastone lanciato da un luogo imprecisato e svenne, rischiando di scivolare dal suo cavallo.

«André, che cosa ti hanno fatto!»

Gridò la donna sentendo l'urlo di lui e, riuscendo prontamente ad allontanare dalla sua direzione un rastrello che l'avrebbe colpita dritta al centro della schiena, prese le redini del cavallo di André e, cercando di abbassarsi sul collo di Cèsar più che poteva, riuscì a guadagnare la fuga, raggiungendo il bois de Boulogne: mancava così poco per raggiungere la città!

 

*

 

Il sole era tramontato del tutto mentre la luna cominciava a splendere alta nel cielo e i suoi raggi penetravano attraverso le fronde degli alberi, illuminando a macchie il fogliame attorno a loro.

Per evitare di far troppo rumore e per potersi meglio addentrare all'interno del bosco, erano scesi dai due cavalli, e camminavano a piedi tenendo le redini tra le mani. 

«Oscar! Sento delle voci! Aspetta!» 

Ma la donna non gli diede il tempo di anticiparla, avvicinandosi, senza però farsi scoprire, al punto in cui sentiva le grida. 

«È vero! Noi abbiamo armi rudimentali e pochissimi fucili, mentre i soldati sono armati di tutto punto. Ma quando le truppe apriranno il fuoco contro di noi, non dovremo continuare ad avanzare! Siamo molto più numerosi di loro! Siamo tutto un popolo! E un popolo non si annienta!»

«Si! Si! Giusto!!»

«La forza che c'è dentro di noi -  continuava l'uomo portandosi un pugno sul petto – la forza che ci spinge a questa lotta, non potrà mai essere sconfitta dalle pallottole!!»

«Si! Si! Giusto! Evviva la Francia! Evviva!» 

Ad Oscar brillarono gli occhi nel sentire la passione con cui venivano pronunciate quelle parole ed ebbe conferma di quello che in cuor suo sentiva di provare.

Indietreggiando lentamente su gomiti e ginocchia, tornò indietro dove André l'attendeva con in mani le redini dei due cavalli, impaziente di proseguire. 

«È impossibile passare, cambiamo strada» 

André porse ad Oscar le redini di Cèsar e i due cominciarono a camminare tra gli alberi. Il bois de Boulogne, quella sera, sembrava una bolla fuori dal mondo: non si sentiva altro che il frinire delle cicale e i loro passi tra l'erba e qualche rametto. 

«La ferita alla testa ti fa male?»

«No, è semplicemente un graffio Oscar, non ti preoccupare» rispose lui mentre si passava una manica ad asciugare il rivolo di sangue quasi asciutto che partiva dalla tempia sinistra, arrivando fino alla mascella.

«Perché mi hai ingannato per tanto tempo?» 

Comprese che scoprirgli le carte non gli avrebbe certo fatto piacere, ma non poteva più tacere. 

«Cosa?»

«Parlo del tuo occhio destro. Il dottore mi ha detto tutto: vedi con molta difficoltà, vero?» domandò lei, la voce divenuta un filo sottile. 

Sentì l'uomo dietro di lei fermarsi, forse troppo meravigliato per la rivelazione. Si arrestò anche lei, voltandosi verso di lui. 

«Comunque domani quando andrò con il mio reggimento a Parigi è meglio che tu non venga: preferirei che tu tornassi a casa dove tua nonna si prenderà cura di te» disse avanzandosi verso di lui fino a fermarglisi davanti. Si accorse del profondo turbamento dell'uomo e sperando che lui capisse perché gli stesse parlando in quel modo, continuò.

«Ti supplico di darmi ascolto, André: non puoi combattere in quelle condizioni» 

Silenzio. 

Dopo qualche secondo in cui sembrava che lui avesse smesso di respirare, lo vide prendere un respiro profondo, prima di trovare il coraggio per risponderle. 

«No, verrò con te, come sempre» 

La guardava in un modo che lei non avrebbe mai immaginato e, nonostante la gravità di quello che stava dicendo, gli vide formarsi un sorriso mentre anche la dolcezza dello sguardo si illuminò di una luce totalmente nuova. Lo lasciò proseguire, catturata anche lei da quella luce. 

«Ormai è una vita che vengo con te, in ogni occasione. Non posso certo cambiare adesso, ti pare?»

Sopraffatta da quelle parole, da quel suo “ti pare” che la riportava ai tempi felici della loro adolescenza, della loro vita insieme, sgranò gli occhi e, abbassando la testa: 

«André.. in passato sono stata innamorata di Fersen, nonostante avessi compreso in qualche modo i tuoi sentimenti, anche se una parte di me non lo credeva possibile, non poteva crederci.. Potresti ancora amare una come me?»[3] 

Sentì gli occhi inumidirsi di lacrime per essere infine riuscita a tirare fuori quella rivelazione che le pesava ormai dentro da molto, da troppo tempo. 

«Sempre.. per il resto della mia vita» 

Il cuore prese a batterle più forte e, felice per quelle parole che le riempivano il cuore di una felicità, di una serenità mai vista, cercò istintivamente il petto di lui, appoggiandovisi contro e gli sussurrò, tra le lacrime ormai libere di scendere lungo il viso, che anche lei lo amava, con tutto il cuore. 

«Io questo l'ho saputo da sempre, Oscar. L'ho saputo da sempre, davvero. Adesso niente può più dividerci». 

Concluse lui, circondando le mani di lei tra le sue.

 

Ti guardo nell'unico occhio che ti resta mentre mi sorridi.

Anch'io sono felice di vederti sorridere e mi impongo di smettere di piangere, e cerco di regolarizzare il mio respiro fino a quando ci riesco e senza quasi rendermene conto, ci avviciniamo e sento le tue labbra sulle mie, così tanto desiderate, in un bacio lento e dolcemente profondo che ricambio con la stessa intensità.

Le tue labbra sono esattamente come me le ricordo.

Morbide e così sicure, calde, familiari, conosciute.

Le mie gambe tremano durante questo bacio sempre più profondo e ho come l'impressione che gli alberi intorno a noi e tutta la paura, la confusione che ci circonda inizi a scomparire.

Ci fermiamo, dopo un tempo che mi è sembrato lunghissimo, ed abbiamo entrambi il respiro corto. Abbasso d'istinto lo sguardo, mentre sento le tue mani che iniziano a sbottonare la mia uniforme e quando rialzo il viso, mi accorgo che mi guardi, supplicandoti quasi che io ti dia il permesso di continuare.

 

É questo che voglio

 

penso, ma le parole mi muoiono in gola e riesco solo a sorriderti e tu, che hai ottenuto il mio tacito accordo, ti allontani un attimo da me per raggiungere i nostri cavalli.

Prima ancora che io possa capire cosa stai facendo, ti vedo prendere una delle coperte da campo nella sacca, vicino la sella del tuo cavallo; poi torni vicino a me e stendi la coperta sull'erba.

Mi prendi per mano, invitandomi a sedermici su.

Mi sorridi mentre lo fai e io non posso che sorriderti di rimando, mentre vivo l'incertezza di una situazione nuova in cui non so bene come comportarmi.

Ci sediamo sulla coperta e mi prendi entrambe le mani, le avvicini al tuo volto e le baci, continuando a guardarmi. Poi, continuando a tenerle tra le tue, ti  abbassi alla mia altezza e, inclinando il volto, mi baci di nuovo.

C'è qualcosa di diverso in questo bacio.

Cosa di preciso non saprei, ma mi sconvolge tutta mentre le tue mani riprendono il loro armeggiare sulla mia divisa.

La giacca scivola alle mie spalle e la camicia pure.

Liberata completamente la parte superiore del mio corpo, mi stringi forte a te e la mia pelle a contatto con la tua giacca mi fa venire i brividi mentre mi aggrappo al tu collo e sento la tua mano risalire fino alla spalla e poi sulla nuca, in mezzo ai miei capelli, avvicinando ancora di più, se possibile, il viso al tuo, mentre con l'altra stringi il mio fianco.

Le mie mani si muovono d'istinto e cominciano a liberarti dei primi bottoni della divisa.

Voglio sentire la tua pelle sulla mia.

Non riesco a credere a questo mio desiderio che mi fa perdere il controllo e quando sto per chiedermi perché hai smesso di baciarmi, realizzo che ti sei allontanato da me solo per liberarti anche tu degli abiti.

Il tuo petto, le tue spalle e le tue braccia sono illuminati dai riflessi della luna che attraversa le fronde degli alberi.

Si, sei l'uomo che conosco.

Eppure sei di una bellezza talmente sconvolgente che mi vengono le lacrime agli occhi pensando a come ho potuto ignorarti in tutti questi anni.

Mi mordo il labbro inferiore mentre mi rendo conto, un po' spaventata, lo ammetto, che ogni briciolo del mio corpo muore dal desiderio che ha di te e spero in cuor mio che finirai presto di toglierti quella maledetta uniforme.

Poi non resisto e, al diavolo l'imbarazzo, mi avvicino a te e comincio a spogliarti. Ti guardo, insicura per questo gesto forse troppo improvviso, per accertarmi di non star facendo niente di sbagliato, mentre faccio scivolare via la tua giacca dietro di te.

Il tuo iniziale stupore nel vedermi intenta a quest'operazione si trasforma in sospiri che sfuggono della tue labbra e sfugge un sospiro anche a me, eccitata dall'effetto che le mie mani hanno su di te e tu, che fino ad un certo punto mi hai lasciato fare senza muovere un dito, riprendi a divorarmi le labbra, incapace di resistere ancora, immobile, al mio tormento.

Tra milioni di baci ci accorgiamo a mala pena di essere, adesso, completamente nudi, nuovamente distesi.

Abbiamo entrambi il fiato corto e io non aspetto altro di averti ancora più vicino.

Ti posizioni tra le mie gambe mantenendoti sollevato sulle braccia e, solo adesso, mi guardi completamente.

Diventi improvvisamente serio e lo sguardo che si posa su di me è di fuoco.

Sussurri il mio nome con la voce roca dalla passione.

Credo di impazzire.

Spingi il tuo corpo dentro di me.

Vedo i muscoli delle tue braccia tendersi e impallidisco per l'intensità del dolore che sento adesso tra le mie gambe.

Mi irrigidisco istintivamente.

Afferri la mia paura e ti fermi anche tu mentre ti appoggi adesso completamente a me e ti sento sussurrare al mio orecchio

 

Perdonami

 

E la tua voce è così carezzevole, così confortante, sicura, che mi rilasso completamente e, pronta adesso per accoglierti completamente, ti dico in un sussurro che ti voglio.

E siamo una cosa sola.

Il dolore scompare a poco a poco, mentre con una lentezza estenuante ti muovi dentro di me e i baci coprono le labbra e i nostri sospiri.

I nostri movimenti si fanno sempre più veloci e audaci mentre ti stacchi dalle mie labbra solo per guardarmi. Ti  sfugge un sorriso di soddisfazione, che vedo attraverso le sottili fessure che sono diventati i miei occhi, mentre i nostri sospiri diventano gemiti e poi baci e di nuovo sospiri e di nuovo gemiti e circondo le mie gambe sul tuo bacino, impedendoti di lasciarmi adesso che il momento è arrivato, perché non voglio lasciarti andare via da me per niente al mondo.

 

*

 

Sono felice di essere nato e so per certo che ogni cosa nelle mia vita doveva portarmi a questo.

Mi ami, e io adesso potrei anche morire.

Fa caldo stasera ma io non posso fare a meno di stringerti a me e tu appoggi la testa sulla mia spalla. Poi mi accorgo delle due pozze d'acqua che mi fissano. 

«André»

«Si..?»

«Posso farti una domanda? Sei libero di rispondermi se non vuoi»

«Dai, dimmi»

«Hai avuto molte donne prima di me?»

«Eh..? come..?» annaspo nel tentativo di sembrare il più naturale possibile, cercando di nascondere il mio imbarazzo per questa domanda del tutto inaspettata.

Poi mi sorge un dubbio. 

«Perché mi fai questa domanda?»

«Ecco, io.. credo di essere gelosa del tuo passato»

«Non ne hai motivo» 

Ma la mia risposta non ti basta: continui a fissarmi e quell'increspatura della fronte mi dice che non sei troppo convinta della spiegazione che ti ho dato.

«Non.. non..» cerco di trovare le parole adatte «non c'è mai stata nessun'altra donna prima.. pensavo l'avessi notato..». 

Ecco, l'ho detto. 

Sei perplessa adesso, pensierosa. Mi sento un idiota per quello che sto per dirti e non avrei mai pensato di dirlo ma, a questo punto, la domanda mi sorge spontanea. 

«Io.. sono stato.. Ti è piaciuto?[5  

Arrossisci e distogli lo sguardo.

Dio come sei bella.

E sei mia.

Poi ritrovi la tua proverbiale audacia e mi salti addosso, e mi dici che sono un brutto idiota e che non sono domande da fare.

Ti muovi sul mio corpo, inconsapevole di quello che provochi in me. Ti stringo per i polsi nel tentativo di farti smettere e il tuo viso imporporato dall'imbarazzo mi fa sorridere. 

«Oscar..» 

Ritorni immediatamente seria, e i tuoi occhi si posano su di me, come se mi stessi vedendo per la prima volta.

Guardi il mio corpo.

Allento la mia presa, la mia attenzione catturata dai tuoi movimenti, dalle tue mani che adesso mi accarezzano il viso, i capelli, tornano sul mio volto, poi sul collo, sul mio petto.

Mi infiammo.

Con un movimento repentino, capovolgo la situazione e sono di nuovo su di te.

Ci guardiamo.

«André.. quando sono con te, sento di di vivere.. sento di vivere..» sussurri rispondendo alla mia domanda di poco fa.

Poi le tue labbra mi sfiorano, riportandomi nell'oblio della passione.

 

*

 

Il generale Jarjayes sorseggiava un bicchiere di vino davanti al quadro della figlia.

Monsieur Armand aveva fatto davvero un ottimo lavoro con quel ritratto: più che per la fedeltà al soggetto, ciò che aveva apprezzato era il modo in cui aveva deciso di ritrarla. 

Marte, il dio della Guerra. 

Crescerla come un maschio era stata la scelta giusta, almeno questo era quello che la figlia gli aveva confessato e non aveva tutti i torti, considerando il tipo di vita a cui erano destinate le donne.

Amava quella figlia più di tutte.

Forse per la lunga convivenza che non aveva avuto con le altre sue figlie o semplicemente perché le somigliava di più, grazie anche all'educazione prettamente maschile che le era stata imposta.

Oscar era il suo orgoglio, lo era sempre stata, anche quando aveva disubbidito all'ordine del re perché comprendeva appieno il suo punto di vista anche se, a differenza di lei, si sentiva troppo legato alle loro maestà e all'ordine costituito per potere anche solo pensare all'idea di non rispettare un loro ordine.

Quando si era accorto, dopo anni di ostinata cecità, che la situazione stava precipitando, aveva cercato di tirarla fuori dall'esercito e concederle così una vita più serena e naturale per una donna. 

Un marito, dei figli. 

Il giovane Girodel si era proposto come pretendente proprio in quel frangente e lui aveva interpretato la cosa come un segnale che la sua era la cosa più giusta da fare. 

Ma lei non ne aveva voluto sapere. 

Inizialmente pensava che quella di lei fosse solo paura di cambiare completamente vita, e aveva insistito per farla partecipare al ricevimento organizzato da Bouillé.

Poi, aveva dovuto capitolare di fronte alla sua volontà. 

C’era lui.

André.

L'amava ed era disposto a tutto per lei.

E in quella terribile sera in cui stava per porre fine ai giorni di sua figlia, comprese perché lei aveva rifiutato categoricamente di sposarsi[4]. 

Anche lei lo amava. 

 

Oscar.. non sono riuscito a salutarti.. Ma perché avrei dovuto dirti addio? Noi ci rivedremo un giorno.. 

Alzò il calice verso la figlia, in un muto brindisi. 

Vivi, Oscar. Vivi come il tuo cuore ti suggerisce. 

 

«Vi prego di scusarmi, signor generale, ma vostra figlia mi ha chiesto di consegnarvi questa lettera»

Voltò il viso alla sua sinistra e scorse la governante, sulla soglia della porta, con una piccola busta tra le mani che tendeva verso di lui. 

Un cenno e la donna si avvicinò.

«Va bene, leggila tu per me» 

La donna rimase qualche secondo come bloccata, poi si riebbe e, assecondando l'inusuale richiesta del suo padrone, aprì la busta. 

«OH!»

«Che cosa ti prende? Leggila» le disse mentre lui continuava a fissare la tela, immaginando la voce della figlia.

«Sono soltanto poche parole..»

«Su, avanti, leggi»

 

Padre, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me. Perdonatemi se vi ho dato dei dispiaceri.

 

«Perché scrivi certe cose? Sembra quasi che tu voglia dirmi addio per sempre..» 

E fissando il volto sorridente disegnato sulla tela, ebbe la risposta.

Sentì le lacrime salirgli agli occhi e un moto di rabbia, che non era altro che dolore, si impadronì di lui. 

«Non ti perdonerò, Oscar! Mai!» 

La governante non riuscì a trattenere i singhiozzi e le lacrime perché, ne ebbe la certezza in quel momento, non avrebbe più rivisto i suoi ragazzi.

 

Fine Parte Undicesima

Cetty (mail to: cetty_chan@virgilio.it)

 


 

[1] Nella versione giapponese, Lassonne inizialmente dice ad Oscar di avere un raffreddore prolungato e soltanto dopo conferma i sospetti di lei.

[2] Nella famosa scena dell'accusa di tradimento, André dice di amare Oscar e, considerando la sicurezza di André, ho ipotizzato che il generale si sia fatto convinto che lui e sua figlia si amino reciprocamente, dal momento che lei rifiuta in tutto e per tutto di sposarsi. 

[3]           Mi sono permessa di prendermi qualche libertà con questa parte dei dialogo. Oscar, in questa scena, afferma chiaramente di sapere che André l'ha sempre amata e a questo punto sorgerebbero tanti interrogativi in merito. Quindi, ho pensato di aggiungere qualche frase per dare l'idea di quello che ha sempre pensato Oscar riguardo a questi sentimenti che sembra non conoscere fino all'episodio 28..

[4] Ovviamente questa è la storia vista dal punto di vista del generale, però, soprattutto nel manga, Oscar rifiuta chiaramente la proposta di Girodel perché c'è una “persona che morirebbe”, sapendola sposata a qualcun altro.. E ho voluto importare quest'idea anche qui.

[5] So che molte lettrici storceranno il naso nel sentire André pronunciare questa frase. L'André che immagino io non direbbe mai una cosa del genere (lui stesso si dà dell'idiota) ma, in questo caso, parla per insicurezza.