LO STATO DELLE COSE
Parte Seconda
Seduti uno di fronte all'altro Oscar e Fersen
conversarono per tutto il tragitto sulla situazione della Francia, sui possibili
provvedimenti per evitare il peggio; fu una conversione animata, alternata a
lunghi momenti di silenzio durante i quali lo sguardo di Fersen si perdeva nel
buio della notte mentre quello di Oscar ostinatamente tentava di trattenerlo a
sé. Sapeva Oscar cosa cercasse il conte in quel buio totale, un'eco lontana da
rievocare nella memoria, due grandi e limpidi occhi azzurri, il sapore di una
bocca e il suono di una voce che nemmeno i cannoni inglesi, fragorosi e
assordanti in terra d'America, avevano mai sovrastata.
Il buio invece restituì ad entrambi solo dubbi e incertezze, un po' di quiete e
un soffio d'aria gelida.
I cavalli di Oscar e di André, più abituati alle uscite, erano rimasti nei
paraggi e fu facile per André recuperarli: quello montato da Fersen invece se ne
era fuggito per i vicoli di Parigi, spaventato e nervoso; gli ci volle una buona
mezz'ora prima di riuscire a scovarlo e a convincerlo a farsi prendere. Il
dolore all'addome era insopportabile, la ferita non era particolarmente
profonda, ma il sangue vi sgorgava senza tregua. Finalmente André riuscì a
rimontare a cavallo e tenendo le redini degli altri due animali, a tornare
lentamente verso palazzo Jarjayes.
Fu un ritorno amaro e doloroso, non solo per la ferita… André procedeva al buio,
piegato sul suo cavallo fortunatamente in grado di ritrovare da solo la strada
di casa. Pensava l'attendente di madamigella Oscar, pensava alla voce distratta
della donna che da sempre amava più di se stesso, agli occhi di lei pieni
d'amore per Fersen, all'ineluttabilità di tutto ciò e il sangue andò a
mischiarsi alle lacrime calde e disperate che iniziarono a scendergli dal volto.
A notte inoltrata André giunse a Palazzo Jarjayes; a fatica raggiunse le stalle
riuscendo solo a fare entrare i cavalli, senza legarli ne tanto meno senza
togliere loro la sella. Chiuse con un ultimo sforzo la pesante porta delle
scuderie e si trascinò verso il palazzo. Aperta la porta di quella che da sempre
considerava casa sua André cadde nell'ingresso privo di sensi. Da più di un'ora
il conte di Fersen dormiva nella camera degli ospiti fatta preparare
appositamente per lui e anche Oscar dopo non pochi sforzi era finalmente
riuscita a conquistare un sonno, una volta tanto, privo di sogni.
La nonna di André, che vegliava sul ritorno del nipote con non poca
preoccupazione, dopo quanto aveva appreso dalle asciutte parole di Oscar, fu
l'unica a udire il tonfo provocato dalla caduta del corpo di André e subito fu
nell'atrio reggendo un candelabro a vedere cosa era successo. "Mio Dio André,
cosa ti è accaduto?".
Nanny si precipitò a soccorrere il nipote e presto si accorse della chiazza di
sangue che si stava allargando sul pavimento. "Julie, Julie" si mise a urlare
l'anziana governante riuscendo a svegliare la giovane cameriera che accorse in
camicia a dare una mano a Nanny: "Aiutami ad alzarlo, portiamolo in camera sua".
Con difficoltà le due donne adagiarono André sul letto e iniziarono a togliergli
la giacca e la camicia: "Oddio bisogna chiamare un medico" disse Julie appena
vide la ferita. A quelle parole però André si riebbe: "No, no non chiamate
nessuno portatemi solo dell'acqua e delle bende, domani starò già meglio" "Ma
André, la ferita…" provò a convincerlo sua nonna, "No, ti ho detto di non
chiamare nessuno e soprattutto non dire niente a Oscar, capito, non deve sapere
niente promettimelo!" Così dicendo André strinse il braccio dell'anziana donna,
fissandola negli occhi per poi ricadere presto vinto dal dolore e dalla
spossatezza.
Nanni e Julie si prodigarono come poterono per André: gli lavarono la ferita, lo
bendarono e in effetti l'emorragia si arrestò ben presto. Sua nonna rilevò che
il taglio non era particolarmente lungo, ma nulla la distolse dal vegliare il
nipote, o meglio dall'addormentarsi accanto a lui fino al sopraggiungere del
giorno, quando i primi raggi del sole la svegliarono: subito controllò lo stato
di salute di André, la benda aveva tenuto, ma l'uomo giaceva in uno stato
d'incoscienza in preda a una forte febbre.
Nonostante il trambusto della sera precedente Oscar si svegliò di buon umore: il
pensiero corse subito alla giornata che le si prospettava e che avrebbe
trascorso in compagnia di Fersen. Nessun impegno l'attendeva. Aveva preso
qualche giorno di licenza per dedicarsi completamente al suo ospito così
inatteso e altrettanto gradito. Con sorpresa si scoprì a cercare freneticamente
un lungo gilet rosa damascato e a indugiare, più del consueto di fronte allo
specchio rimirando la propria figura. Ogni tanto le si affacciavano alla mente
gli occhi di Fersen atterriti dinnanzi all'immagine di Maria Antonietta, il suo
capo piegato sul manifesto oltraggiato, ma subito scacciava questi pensieri che
turbavano la sua ostinata voglia di serenità. Scese l'ampia scalinata e subito
percepì dell'agitazione nell'aria; il personale di servizio era più sollecito,
persino spiccio nei saluti e ve n'era tanto intorno… troppo. Non se ne chiese la
ragione, la sua attenzione, tutta la sua persona anelavano a una cosa sola:
incontrarlo. Il conte di Fersen era già seduto nel patio a fare colazione; non
appena Oscar entrò il conte svedese si alzò e le andò in contro. Vi fu un attimo
di imbarazzo, non era il caso di baciarle la mano o di accompagnarla alla sua
sedia… i due si scambiarono un sorriso e il conte ebbe la prontezza di spirito
di domandarle se aveva 'dormito bene'. Oscar era radiosa, nonostante il sonno
breve il suo bel viso risplendeva di luce riflessa; a un occhio esperto non
sarebbero sfuggiti quei rossori che le sfioravano le guance quando lo sguardo di
Fersen si soffermava su di lei o quando sorridevano insieme di qualche dama o
cavaliere noto a Versailles. Ma il conte, assolutamente a proprio agio come in
compagnia di un vecchio amico, non badò nemmeno al bel gilet rosa damascato…
Solo al termine della colazione Oscar si accorse dell'assenza di André; avevano
deciso di fare una cavalcata insieme e occorreva che qualcuno preparasse loro i
cavalli. "Ma dov'è André?" domandò Oscar quasi riscossa dal suo sogno.
"Non lo so, non l'ho ancora visto questa mattina"
"Il solito pigrone, scommetto che sta ancora dormendo"
Oscar si alzò con piglio e inizò a cercare l'amico: "André, André, dove ti sei
cacciato?" I suoi passi si stavano dirigendo verso la camera di André - nulla di
strano - fra l'apprensione delle cameriere, quando Nanny, opportunamente le si
parò davanti. "André non c'è Oscar, è dovuto uscire per una commissione"
"Una commissione? No sono tutte scuse, sta ancora dormendo vero…?" E i suoi
passi ancora a muoversi, quando il conte di Fersen apparve sulla soglia del
patio: "Lasciate stare madamigella Oscar, prepareremo noi stessi i cavalli,
sapete nei dragoni di Svezia anche gli ufficiali devono saperlo fare e poi André
sarà rincasato tardi, non è tornato con la carrozza come noi". Ad Oscar l'invito
di Fersen non dispiacque sebbene provò un certo disappunto per il fatto che
André non le avesse risposto.
Nanny non si trattenne dal dire quasi con veemenza "Appunto!" e a Oscar non
rimase che avviarsi verso le scuderie al fianco di Fersen, mentre il sole del
mattino le scaldava le membra in una piacevole sensazione di leggerezza e
abbandono.
Oscar aprì la porta delle scuderie declinando l'aiuto offertole da Fersen:
apparire forte e indipendente era l'unica arma di seduzione che aveva potuto
apprendere, confondendola con le strategie prettamente maschili…
"Non ha nemmeno legato i cavalli né tolto loro le selle… giuro André questa
volta non la passa liscia!" - sbottò Oscar quando vide i cavalli vagare liberi
per la scuderia, nervosi, affamati e ancora sellati".
"Povere bestie - proseguì - sono stanche e affamate, André è proprio un
incosciente, non so che gli sia preso a quel disgraziato. Conte di Fersen, mi
spiace, ma prima dovremo almeno togliere le selle ai cavalli. Pierre, l'anziano
scudiero che da una mano ad André, in questi giorni è assente e questo lavoro
non possiamo farlo che noi finché quello scansafatiche non si presenta".
Oscar aveva un tono vibrante, in preda alla rabbia ma ugualmente in cerca di
controllo e quasi di dolcezza nel rivolgersi a Fersen il quale dal canto suo non
fece certo un dramma della questione. "Non importa Oscar, pensiamo pure ai
cavalli, abbiamo tutta la giornata davanti a noi…". Oscar non profferì parola,
ma le sue guance parlarono per lei. Fersen iniziò a togliere la sella dal
cavallo montato la sera precedente mentre Oscar pensò prima a Cesàr, per poi
rivolgersi verso il cavallo di Andrè, uno splendido stallone nero che stazionava
in fondo alla scuderia[1].
Oscar indossava i consueti guanti bianchi, che si tinsero di rosso non appena le
sue mani presero le redini e quindi la sella per toglierla dal cavallo. Oscar
rimase a guardare i suoi guanti sporchi. Il sangue di André si era ormai
rappreso ma sporcò ugualmente di rosso i candidi guanti di Oscar: "E questo che
cos'è" Trovò a domandarsi il comandante delle guardie reali osservandosi le mani
e richiamando l'attenzione di Fersen, ma subito la verità le si affacciò alla
mente: "Ma è sangue… André!"
Oscar corse fuori dalle scuderie consegnandosi al sole accecante cui non badò
più: sempre correndo si diresse verso il palazzo e quindi alla stanza di André
lasciando Fersen perplesso, dietro di lei.
Oscar spalancò la porta della camera del suo amico che giaceva a letto senza più
avere ripreso conoscenza con Nanny e Julie accanto a lui. Ansando domandò di
getto "Come sta, che cos'ha cosa ha detto il dottore?"
Le due donne avevano gli occhi arrossati ed erano visibilmente preoccupate. Fu
Nanny a risponderle: "È ferito, è tornato ieri sera con una ferita all'addome".
Oscar entrò nella camera "Ma cosa ha detto il dottore?" E Nanny "Non l'abbiamo
chiamato, non ha voluto, non voleva che tu ne sapessi niente, diceva che oggi si
sarebbe rialzato… ma adesso ha la febbre alta e non sappiamo cosa fare"
Oscar chiuse gli occhi e scosse la testa, non aggiunse altre domande, ma solo
ordini: "Chiamate subito il medico, ditegli di venire immediatamente". Julie e
Nanny uscirono dalla stanza lasciando Oscar sola con André. La donna fece
qualche passo in direzione del letto, vi si accostò e sfiorò la mano di André
con la sua. Il conte di Fersen comparve sulla soglia della camera con un
interrogativo: "Io non capisco, perché non ci ha detto che era ferito?"
"Perché io non gliel'ho chiesto"
La verità era così semplice ora, tutto così chiaro, lo stato delle cose talmente
evidente che per Fersen fu davvero molto semplice parlare.
Fine Parte Seconda
Mara (mail to: mara.zanotti@ilnuovotorrazzo.it
)
[1] Il riferimento allo 'splendido stallone nero' è volutamente ambiguo.