LE ROSE FIORISCONO AD ARRAS

Versione 2018

Parte Seconda

Quando scrissi questa mia prima ff avevo si e no 13 o 14 anni. All'epoca mi ero da poco addentrata nel "meraviglioso mondo di Lady Oscar" e, pur non avendo letto ancora il manga (secondo me indispensabile per una totale comprensione della storia), mi sono lanciata a scrivere questa storia per la quale, nel tempo, ho iniziato ad avere un certo imbarazzo. Sia chiaro, per l'epoca e per la mia giovane età di allora, non era poi così male ma, nel corso degli anni, potendo conoscere meglio la storia e, in aggiunta, arricchendo il mio bagaglio di esperienze personali, ho capito che questa FF, così com'era, andava assolutamente cambiata. Non soltanto per alcuni errori di forma del testo in sé o di contenuto, quanto piuttosto nella presenza di quelli che mi piace definire "cliché" tipici sulle FF dedicate a Lady Oscar, Oscar e André in particolare, che proprio non riesco a sopportare (per esempio quando vengono descritti come quando vengono loro associati dei comportamenti  o delle frasi da giovani adolescenti). Cancellarla completamente come se non fosse mai stata scritta mi sembrava onestamente brutto, visto che comunque era frutto di un lavoro testuale che mi aveva dato all'epoca grande impegno. Da qui la decisione di una nuova versione, che mantiene più o meno inalterato il plot ma che si sviluppa in modo diverso, più corretto e consono in riferimento soprattutto a quello che secondo me è il modo di agire di due persone adulte di trent'anni, in un certo contesto e attraverso il loro modo di essere che ho imparato a conoscere dopo aver letto il manga e visto l'anime innumerevoli volte. 
Vi anticipo inoltre che stessa sorte subiranno tutte le altre fanfictions da me scritte pubblicate su questo sito, ad eccezione di "Una Vita", realizzata in tempi più recenti.
Vi lascio pertanto alla lettura di questo primo capitolo, sperando che vi piaccia, nella consapevolezza di non consegnarvi certo un capolavoro di scrittura ma qualche momento per sognare un po'. Buona lettura.

 

**

 

Dal momento che non era una gita di piacere e prima fossero arrivati meglio sarebbe stato, avevano infine concluso che sarebbe stato più saggio prendere una carrozza, preferibilmente anonima, che non riportasse nessun fregio nobiliare, e di indossare abiti altrettanto anonimi, che non dessero il minimo sospetto sulla loro reale identità.
In realtà, al contrario che nella capitale, in cui c’era fibrillante attesa per l’imminente apertura degli Stati Generali, fuori Parigi si respirava un’aria di placida serenità: il paesaggio delle campagne non era stato ancora scalfito dalla frenesia che si respirava a Parigi e la vita dei contadini procedeva tranquilla e calma, monotona, avrebbe giudicato qualcuno: gli uomini continuavano a lavorare la terra, sotto il sole, il vento o la pioggia, come avevano fatto i loro padri e i padri dei loro padri prima di loro. Tutto sembrava inalterato.
Sarebbe stato bello, pensava Oscar, se il tempo avesse potuto mantenere inalterato anche lo stato delle cose tra lei e André anche se adesso sentiva una maggiore consapevolezza che la faceva sentire in qualche modo libera dagli strettissimi vincoli con i quali era cresciuta. Forse, sarebbe stato bello non aver affrontato alcune difficoltà, alcune incomprensioni ma, certamente, erano state loro ad aver portato le cose al punto in cui erano adesso e, forse, sarebbe potuta andare anche peggio.
Dopo due giorni di viaggio, Oscar era stufa degli scossoni della carrozza così, arrivati a Compiègne, propose ad André di procedere con due cavalli presi a nolo: sarebbero arrivati ad Arras nel tardo pomeriggio o nella sera del giorno successivo. Avrebbero dovuto fare una sosta intermedia ma, con un po’ di fortuna, non avrebbero avuto problemi. Il tempo non sembrava annunciare pioggia e respirare un po’ d’aria fresca era per entrambi molto più allettante che passare altri due giorni al chiuso della berlina.

Decisero di fermarsi nella cittadina di Péronne, più o meno a metà strada, un piccolo agglomerato di edifici costruiti attorno ad un castello di epoca medievale, su una collina costeggiata dal fiume Somme. Vi si erano fermati qualche volta durante l’infanzia quando, nel periodo estivo, la famiglia Jarjayes al completo si trasferiva nelle tenute di Arras, col pretesto che il generale, almeno una volta l’anno, doveva controllare lo stato delle sue proprietà, affidate all’intendente il resto dell’anno, che puntualmente gli dava il resoconto delle spese e degli introiti annuali dalle corvée e vendita del pregiato vino prodotto dalla famiglia, tra le altre cose. L’ultima volta che c’erano stati Rosalie viveva ancora con loro. Chissà come stava la ragazza. André le aveva detto che alla fine si era sposata con Bernard, l’ex Cavaliere Nero e che viveva tutto sommato bene, non le mancava niente e, cosa più importante, era felice: questo André non aveva mancato di sottolinearlo, rassicurandola. Si era ripromessa di andarla a trovare, prima o poi.
La luce rosseggiante del tramonto gettava lunghe ombre e, man mano che si addentravano nel paese, camminando sulla strada principale a piedi, portavano cavalli alla cavezza e osservavano la gente che rientrava in casa dopo una giornata di lavoro, bambini che giocavano per le strade e un via vai di gente nei pressi delle osterie, delle locande, dove i proprietari iniziavano a prepararsi per il servizio serale, peraltro non particolarmente vivace in un paesino di provincia.

Arrivò all’improvviso, come quando le capitava che, giocando, si voltava per guardare alle sue spalle e non si accorgeva di una pietra o della radice di un albero che – dannazione – sembrava qualcuno avesse messo lì a posta per farla cadere. Mentre, dopo una breve ricerca, avevano avvistato l’insegna della pensione in cui erano stati l’ultima volta, dei ragazzini le avevano lanciato un secchio colmo d’acqua, cogliendola di sorpresa. La prima cosa che André notò in lei fu le labbra che avevano formato una “O” che contenevano un’esclamazione trattenuta, mentre gli occhi si erano prima spalancati e poi avevano preso a chiudersi e riaprirsi per scrollarsi i rivoletti d’acqua che scendevano dalla frangia bionda.

I bambini si erano bloccati, stupiti e al contempo terrorizzati per averne combinata una veramente grossa.

«Michel, ma che cosa hai combinato!»
«Stupido di un Michel!»

«Ah ah ah ah! Dovevi tirarlo a Bastien!»

«Adesso vedrai come te le suonano!»

Dicevano i ragazzini canzonando un ragazzetto biondo, magro, con la carnagione chiarissima e resa ancora più pallida dal terrore di aver dato una secchiata d’acqua a quell’uomo. Che fosse un commerciante, un giornalista, un avvocato, un mercante, era comunque uno a cui il denaro non mancava, lo si vedeva dagli abiti e dai modi raffinati, e tutto questo significava certamente una sola parola: guai in vista.
André si preoccupò di rassicurare il bambino, sul cui volto esangue, gli occhi sbarrati, le labbra tremolanti, iniziavano a formarsi delle piccole chiazze rosse di imbarazzo, di stare tranquillo, che non era successo niente; poi, quando i ragazzetti fuggirono via a gambe levate sollevati di averla scampata, tornò a guardare Oscar, che iniziava a prendere coscienza di avere il volto, i capelli e buona parte del jabot completamente zuppi, le braccia ancora leggermente allargate sui fianchi, come se istintivamente cercasse di riemergere da acque profonde. André provò a rimanere serio ma l’espressione di Oscar rendeva la cosa impossibile e scoppiò a ridere della grossa, battendosi il palmo della mano destra sul ginocchio e la mano sinistra – la spalla nel frattempo era tornata più o meno alle antiche funzionalità - che teneva ancora le redini del suo cavallo, a tenersi il fianco. Riuscì a tornare serio ma la cosa durò solo una frazione di secondo perché anche Oscar, stavolta, scoppiò in una scrosciante risata, gli occhi chiusi per l’ilarità. La gente in strada si era fermata a guardarli incuriosita e vagamente sconcertata.

 

 

Il Giglio Rosso aveva mantenuto la stessa aria familiare, nonostante i nuovi proprietari avessero modificato alcune cose rispetto all’ultima volta che c’erano stati. Questo pensarono i due quando entrarono, dando un’occhiata non troppo approfondita all’ingresso: Oscar aveva strizzato i capelli prima di entrare ma erano ancora bagnati fradici e la cosa importante, adesso che con l’umidità addosso percepiva l’aria frizzante di quella sera di primavera, era che si asciugasse. «Buonasera signori, come posso esservi d’aiuto?»
«Buonasera madame», disse André rivolto alla donna di mezza età, truccata e abbigliata in maniera abbastanza appariscente, dietro ad un banco di legno laccato di bianco.

«Vorremmo due camere singole, solo per stanotte»

Oscar intanto, qualche passo indietro, continuava a guardarsi addosso, a lisciarsi i capelli nel tentativo di togliersi di dosso tutto quell’umido.

«Si, attendente solo un momento» rispose la donna mentre controllava il registro dei visitatori e, al contempo, lanciava delle occhiate non troppo amichevoli a quel giovane biondo che le stava bagnando tutto l’ingresso della pensione.
«Mi dispiace, ma non abbiamo due camere singole, posso darvi una matrimoniale, ma non mi sembra il caso, oppure una camera doppia: non dovrebbe essere un problema per due giovanotti come voi», disse ammiccando verso l’uomo dagli occhi verdi; l’altro era altrettanto bello ma il fatto che stesse lì a sporcarle tutto il pavimento non le andava proprio giù.
André stava per rispondere che avrebbero cercato altrove.

Non era la prima volta che dividevano una camera d’albergo ma tante cose erano cambiate dall’ultima volta che era successo.

Oscar lo interruppe all’istante, stanca e infastidita dall’avere la parte superiore degli abiti ormai attaccata alla pelle.
«Vada per la doppia» disse cercando di tagliare corto. «André, per favore, occupati tu del resto. Io devo necessariamente mettermi qualcosa di asciutto».
La padrona dell’albergo chiamò Luc, un ragazzotto tutto lentiggini, invitandolo ad accompagnare monsieur nella camera 14, portare i loro bagagli e di assicurarsi che avessero tutto quello di cui avevano bisogno.
Il ragazzo prese il bagaglio di Oscar e iniziò a salire verso il piano di sopra, mentre Oscar lo seguiva in silenzio sperando di trovare lenzuola pulite e teli per asciugarsi.

**

 

Non era la prima volta che gli succedeva.

Di essere fissato insistentemente da una donna.
Solitamente, grazie al suo ruolo di attendente, faceva finta di dover fare altro e si dileguava appena ne aveva l’occasione, ma in casi come quello era difficile cercare una scusa per allontanarsi.
Gli veniva da ridere, oh sì, pensare che la persona che avrebbe voluto  che lo guardasse in quel modo, praticamente spogliandolo con gli occhi, era al piano di sopra mentre lui era costretto a subire le avances della donna mentre attendeva quelli che sembravano minuti interminabili in attesa che i loro nomi venissero trascritti nel registro degli ospiti: evidentemente la donna doveva essere nuova del posto perché non batté ciglio nel sentire il cognome De Jarjayes. Nel frattempo un paio di ragazzi, che dovevano essere i camerieri, iniziavano a preparare i tavoli per il servizio serale e, guardandosi intorno fingendo di non essersi accorto degli occhi che si posavano insistentemente sulla sua persona, André notò di alcuni gruppetti di studenti, avvocati o probabilmente giornalisti che entravano, libri sotto il braccio, e prendevano posto senza smettere di chiacchierare tra loro.

«E con questo abbiamo finito. Vi prego di mettere una firma qui» disse la donna indicando un punto sul foglio e invitando André a firmare.

«Posso fare qualcos’altro per voi?» disse la donna avvicinando in modo provocante il petto seminudo e sfiorandosi il merletto del corpetto.
«No, vi ringrazio Madame. Anzi sì» concluse posando la penna d’oca  «una cosa potete farla: riservereste un tavolo per me e il mio amico?»
« Certo, tutto quello che volete, monsieur» rispose lei senza arrendersi.

André stava per scoppiarle a ridere in faccia – era veramente ridicola, a quell’età, anche se a Versailles aveva visto pure di peggio – e leggermente a disagio. Ma si trattenne, pur con enorme difficoltà.
«Luc, accompagna monsieur nella sua stanza»

«Non occorre, posso farcela anche da solo. Vi ringrazio»

 

E così l’uomo prese a salire le scale, sollevato di essersi finalmente liberato dalla vivace ostessa. Bussò alla porta.

«Oscar sono io, posso entrare?»
Sorrideva tra se e sé domandandosi che faccia avrebbe fatto Oscar se avesse assistito pure lei allo spettacolino di poco prima.
Nessuna risposta.

Istintivamente André mise la mano sulla maniglia e fece per aprire quando, all’improvviso, la porta si spalancò e lui, che stringeva ancora l’impugnatura, venne letteralmente catapultato nella stanza, perse l’equilibrio e cadde in avanti appoggiando le mani sulle spalle di Oscar che, anche lei sorpresa, lo cinse d’istinto per impedirgli cadere.

Stupiti da quell’inaspettata vicinanza, rimasero attaccati per un tempo che sembrò lunghissimo.
C’erano delle volte in cui c’era qualcosa in lei o nel contesto in cui si trovavano che gli dava la sensazione di scoprirla per la prima volta, che gli dava l’impressione che non l’avesse mai vista così bella come in quel momento e, rendendosi conto che Oscar era sempre lei, sempre la stessa, sospirava con rassegnazione e diceva a se stesso che gli sarebbe stato impossibile riuscire a smettere di amarla o, più semplicemente, respirare un’aria diversa da quella che respirava lei. Questo era uno di quei momenti.

La vicinanza fisica che tra loro era stata sempre scarsa per via dell’educazione di lei e delle buone maniere di lui – ad eccezione ovviamente di circostanze drammatiche dove l’etichetta andava, giustamente, a farsi benedire – e, così improvvisamente, dopo il baratro che si era aperto tra loro per colpa sua, adesso quel contatto avvenuto in modo del tutto casuale era di per sé qualcosa che non poteva lasciare indifferente André che, in questa occasione, si era per un attimo pietrificato nel vederla così bella, bellissima, con i capelli ancora umidi: aveva un’aria così fragile, intima quasi, senza il jabot bagnato e con la sola camicia e poteva sentire il suo profumo insieme a quello dell’acqua che ancora bagnava la parte superiore della camicia.
La sensazione di avere un insostenibile peso era durata solo una frazione di secondo, poi lui aveva smesso di pesarle addosso e aveva posato gli occhi su quelli di lei: non avrebbe saputo dire come, ma lei ne era rimasta incatenata. Nonostante fosse di natura una persona schiva e che non amava particolarmente il contatto fisico, sentiva di non voler interrompere quell’imprevisto momento e i suoi sensi percepivano in maniera molto netta le mani di André sulle sue spalle. Non riusciva però a smettere di fissare quegli occhi che la guardavano in un modo che lei non aveva mai visto su di sé: qualcosa del genere era successo a Saint Antoine ma, in quella situazione, vi aveva letto paura mista a sollievo. Stavolta c’era qualcosa di diverso, profondo e intenso, che le fece venir meno qualche battito e sentì le sue mani aggrapparsi a lui più forte.

 

Una voce vicina sul pianerottolo interruppe quell’atmosfera sospesa e i due si allontanarono lentamente, continuando a guardarsi. Poi l’uomo abbassò lo sguardo, un sorriso mesto, e non poté vedere che anche lei aveva l’aria sconsolata, gli occhi a guardarsi la punta degli stivali e avvertiva la nuova sensazione di sentirsi orfana della fisicità di lui.

«Ho chiesto di riservare un tavolo per la cena. Scendi appena sei pronta. Io aspetto di sotto» disse lui cercando di recuperare la voce e facendo per uscire, l’aria impacciata.

«Non saranno i piatti di monsieur Armand ma sono sicura che qualunque cosa ci serviranno andrà benissimo» rispose lei cercando di tornare a discorsi più concreti, un tono di voce sereno e tranquillo e tentando di sondare con lo sguardo lo stato d’animo di lui. «Mi cambio e scendo» terminò avvicinandosi al bagaglio per prendere un cambio.
André uscì dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandovisi contro con la schiena. Sentiva, o voleva sentire, che qualcosa stava forse cambiando. Non era certo il caso di farsi delle illusioni ma non riusciva a levarsi quel viso stampato sulla faccia, inconsapevole che, all’interno della stanza, Oscar si chiedeva quanto ancora sarebbe riuscita a far finta di nulla.

 

Fine Parte Seconda

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