RETTE PARALLELE
Capitolo Quarto
Mi sono
appisolato. Mi sveglio e mi rendo conto che ho dormito con la testa poggiata sul
tuo ventre. Decisamente il miglior risveglio di sempre.
Ti sento accarezzarmi i capelli e, dopo averti baciato l’ombelico, alzo lo
sguardo verso di te. Ma il sorriso mi muore sulle labbra. Ti vedo fissare la
finestra, con la testa poggiata di lato sul cuscino, uno sguardo di una
tristezza che mi ghiaccia l’anima e una fila silenziosa di lacrime che scendono
di traverso sul tuo viso. Non smetti di carezzarmi i capelli.
Mi sollevo sui gomiti, restando su di te, e ti domando: “Oscar, non stai bene?”
Lentamente giri la testa verso di me ed il tuo sguardo appannato dalle lacrime
mi mette a fuoco. Ma non parli.
Mi stai facendo paura, Oscar.
“Oscar, ti supplico, parlami. Ti ho fatto male?”
Scuoti la testa, come una bambina. E finalmente parli. Ma hai la voce rotta dal
pianto trattenuto. “No Andrè, non mi hai fatto male. Me lo sono fatta da sola.
Per anni. Non so nemmeno quante occasioni ho sprecato, ed ora la situazione è
questa. Ma va bene. Posso accettarla. Me la merito. Se non mi ami più è solo
colpa mia, e allora sconterò la mia condanna accontentandomi di essere solo una
delle tue puttane.”
Dici tutte queste frasi assurde ed incomprensibili con un sorriso di una
dolcezza inaudita. E allora capisco.
Sostenendomi sui gomiti risalgo fino a trovarmi faccia a faccia con te.
“Oscar, io ti amo. Da sempre. Nulla è cambiato e nulla cambierà. Perdonami se
sono stato così stupido da non ripetertelo per rassicurati, amore, ma lo davo
per scontato. Perdonami. Ti amo.”
Vedo il tuo sorriso rifiorire, ma un’ombra ancora lo oscura. Stavolta sono più
sveglio e capisco. “Ti chiedo perdono. Ho cercato di dimenticarti perdendomi in
altre donne, ma non ci sono mai riuscito. Adele l’ha capito subito e mi ha dato
degli ottimi consigli; le sono debitore. Ma si era dimentica di dirmi che dovevo
ripeterti che ti amo. O forse lo dava per scontato e non pensava fossi così
stupido.”
La tua espressione si rischiara sempre più.
“Ti amo, Oscar.”
Ora mi sorridi apertamente, di un sorriso che mi ricorda quello che avevi per me
da bambina, ma ancora più splendente.
“Ti amo, Andrè.”
E adesso sì, facciamo l’amore per la prima volta. Io e te.
*
Mi sveglio con uno strano peso addosso. Guardo giù e ti vedo. Dormi con
un’espressione beata sul viso e la testa appoggiata al mio ventre.
Che strana sensazione. Non sono pentita, ma… non sono felice. Ci siamo presi a
vicenda, con forza, con disperazione. Con amore, almeno da parte mia. Ma tu? Tu
cosa pensavi?
Sento le lacrime che iniziano di nuovo a sgorgare dai miei occhi, in silenzio,
in questa mattinata così anomala, in cui mi sono svegliata donna nel tuo letto.
La luce cade di traverso dalla finestra alla mia sinistra ed io la fisso.
Rivedrò mai questa luce, da questo letto, con te al mio fianco? Sì, probabile.
Ma in che modo? Chi sarò io per te?
Penso questi e mille altri pensieri ed intanto non posso fare a meno di passare
le mie dita tra i tuoi capelli. Un sogno da ragazzina. Almeno questo posso
realizzarlo.
Il respiro sulla mia pancia cambia ritmo. La tua testa si agita. Avverto le tue
labbra sul mio ombelico. Ed ora sento freddo perché hai alzato la testa.
Scusa, ma ancora non ce la faccio a guardarti in faccia. Lasciami continuare a
fissare la luce di questa mattinata, affinchè possa imprimerla nella mia
memoria.
Ti sollevi sui gomiti, restando su di me, e mi domandi: “Oscar, non stai bene?”
Io ti sento, ma è come se tutto fosse rallentato intorno a me. Ci metto un po’ a
girare la testa verso di te, ma le lacrime mi impediscono di metterti a fuoco.
Mi fissi con una strana espressione impaurita, come un bimbo. “Oscar, ti
supplico, parlami. Ti ho fatto male?”
Scuoto la testa, perché la voce mi uscirebbe arrochita. Ma debbo parlarti.
Questo è il momento che aspettavo da tanto, anche se non lo immaginavo così
straziante. “No Andrè, non mi hai fatto male. Me lo sono fatta da sola. Per
anni. Non so nemmeno quante occasioni ho sprecato, ed ora la situazione è
questa. Ma va bene. Posso accettarla. Me la merito. Se non mi ami più è solo
colpa mia, e allora sconterò la mia condanna accontentandomi di essere solo una
delle tue puttane.” Ti dico tutto quello che sento di volerti dire, eppure non è
che un cristallo in una tormenta di neve. Quante altre cose non dette, informi,
nella mia mente…
Sostenendoti sui gomiti risali fino a trovarti faccia a faccia con me. Come sei
bello. Quando me ne sono accorta, io? Tardi, troppo tardi. Poi tu parli. “Oscar,
io ti amo. Da sempre. Nulla è cambiato e nulla cambierà. Perdonami se sono stato
così stupido da non ripetertelo per rassicurati, amore, ma lo davo per scontato.
Perdonami. Ti amo.”
Sento un sorriso sbocciare sulle mie labbra, come il primo fiore dopo il gelo.
Ma l’inverno assedia ancora il mio cuore.
Ti vedo assumere un’espressione consapevole ed addolorata al tempo stesso. “Ti
chiedo perdono. Ho cercato di dimenticarti perdendomi in altre donne, ma non ci
sono mai riuscito. Adele l’ha capito subito e mi ha dato degli ottimi consigli;
le sono debitore. Ma si era dimentica di dirmi che dovevo ripeterti che ti amo.
O forse lo dava per scontato e non pensava fossi così stupido.”
Il gelo cede il passo al sole, nel mio cuore. Se tu puoi perdonarmi anni di
indifferenza, di dolore, di solitudine, anni in cui ho imposto la presenza di
Fersen tra noi due, anni in cui le mie debolezze di donna hanno gravato sulle
tue spalle, allora io posso perdonare la tua debolezza di uomo, il dolore da me
causato che ti ha spinto ad allontanarti. Perdoniamoci, amore mio.
“Ti amo, Oscar.”
Lo dici fissandomi dritto negli occhi. Occhi che hanno esaurito il loro carico
di lacrime intrise di dolore e che ora ti fissano con coraggio. Il mio sorriso
sboccia completamente.
“Ti
amo, Andrè.”
E adesso sì, facciamo l’amore per la prima volta. Io e te.
*
Facciamo colazione insieme, a casa mia. Tu ti siedi impacciata, ed io impacciato
ti passo la tazza di caffè. Indossi una mia camicia, solo quella e non avrei mai
osato sognare tanto.
*
Avevo desiderato fare colazione con te, per poteri parlare; non avrei mai osato
sperare tanto. Bevo il caffè che hai preparato tu indossando una tua camicia,
che mi arriva alle ginocchia e che ha il tuo profumo.
Questo è un nuovo inizio.
*
Il quartiere ormai è sveglio. Il mercato è in piena attività ed i soldati della
Guardia passano in mezzo alla folla.
“Alain, il nostro Grandier è in ritardo! Lo andiamo a prendere? Ahahghahah!”
Gros Jean è quello che apprezza di più la trasformazione di Andrè; la considera
una vittoria personale e di casta l’aver portato quel signorino al loro livello.
“No, aspettiamolo sotto il suo portone; scenderà a momenti.” Alain non sa che
pensare della trasformazione di Andrè. È il primo uomo che può sinceramente
chiamare amico, nonostante la sua chiacchiera facile, ma proprio per questo non
riesce a capirlo. Sembrava profondamente innamorato di quella donna in uniforme.
Quindi ha ragione lui: l’amore non esiste, è roba buona per i romanzieri? Avere
ragione gli lascia come un retrogusto amaro in bocca… Però il comportamento di
Andrè non lo convince; un cambiamento troppo repentino e, soprattutto, la sua
espressione dolente non è cambiata di una virgola, anzi. Sì, si porta le ragazze
nella sua mansarda, ed ora quelle non fanno che parlare del bel moro con
l’occhio verde e lo sguardo distante. E bravo il nostro Andrè! Sei diventato
l’idolo delle puttane del quartiere! Chi l’avrebbe mai detto? Però si è
impuntato sulle more. Solo ragazze con occhi e capelli scuri. E questo è un
brutto indizio. Gli altri ci scherzano, ma Alain ha un grammo di cervello in più
e ha capito che vuol dire. Certo è che se continua così potrebbe davvero
dimenticarla la bionda di ghiaccio… e questo pensiero gli causa una gioia
sottile e maligna che lo spaventa. Ci pensa un po’ troppo spesso a quella
pertica bionda, se n’è reso conto… e questa storia non gli piace, non gli piace
per niente…
Una manata sulla spalla di Gros Jean lo riporta al presente. “Alain, vedi anche
tu quello che vediamo noi?”
Sono arrivati nella via dove si trova il palazzo in cui vive Andrè da un vicolo
che sbuca da destra e ora posso vedere senza essere visti il loro compagno di
bevute uscire dal portone in compagnia del comandante. Non si toccano, ma
parlano tranquilli e si sorridono.
“E allora? Quante volte li abbiamo visti chiacchierare in caserma, quei due?” la
domanda di Alain suona inutilmente sulla difensiva. Ma in difesa di chi o di
cosa?
“Beh sì, ma ora è mattina e stanno uscendo da casa di Andrè…” il povero Lazare
ha le orecchie in fiamme.
“Ragionate, santiddio! Ieri sera Andrè se n’è andato dalla locanda con la dolce
Adele, che gli sbava dietro da quando lo ha visto. Ci siete? E allora che ha
fatto, ha trasformato Adele nel comandante?” Alain si sta scaldando troppo. Se
ne rende conto lui e possono rendersene conto anche gli altri.
“Ehi, magari il nostro signorino ci ha fregati tutti con le sue maniere scì scì
ed è riuscito ad organizzare una cosa a tre! Ahahahghaahahah!!!” Dio, come si
diverte Gros Jean da un mesetto a questa parte.
Alain sente che vorrebbe mollargli un pugno, ma per fortuna gli si risveglia in
tempo l’istinto di sopravvivenza. Di chi dovrebbe difendere l’onore? Di Andrè?
Del comandante? Se quei due vanno a letto insieme, buon per loro. Lui che
c’entra..?
“Andiamo in caserma.” Ora il tono di Alain è tornato quello del capo, e gli
altri lo seguono.
*
Quando il gruppetto formato da Alain, Gros Jean, Lazare, Pierre e François
arriva in caserma rimane sorpreso nel vedere il comandante mentre parla con il
colonnello D’Agout.
“Ah, ha gambe veloci, la bionda. Buono a sapersi per il nostro Grandier!” Gros
Jean non può trattenersi, causando un certo rossore sui volti dei più giovani
Pierre, François e Lazare.
“Buongiorno comandante! Bella giornata, eh?” Gros Jean non è tipo da mollar
l’osso, una volta addentato.
“Buongiorno ragazzi. Sì, effettivamente è una bella giornata. Ottima per gli
allenamenti.” E sorride. Quelli non sono abituati a vederla sorridere e ci
restano di sasso. Lazare la fissa con la mascella leggermente pendula.
“Eh, già è un vero piacere fare un po’ di sana attività fisica quando c’è questo
bel tempo, eh!” Il doppio senso non proprio mimetizzato nella frase di Gros Jean
non sfugge ai suoi compagni, ma non sfiora nemmeno il comandante, che si limita
a sorridere il suo nuovo sorriso.
Dal cancello entra Andrè.
Alain vorrebbe fermare Gros Jean, ma sa già di non avere speranze: il gigante
oggi è proprio lanciato.
“E buongiorno anche al nostro Grandier! Svegliato tardi stamattina? Spero per te
signorino che hai almeno una buona giustificazione! Ahahgahahah!”
Andrè non si scompone; anni e anni al fianco di Oscar gli hanno impresso l’arte
della dissimulazione. Semplicemente non può impedirsi di sorridere; ma che male
c’è a sorridere quando si augura il buongiorno ai propri superiori ed ai propri
compagni?
Nessuno, se non fosse che pure il sorriso sincero di Andrè giunge nuovo come
quello del comandante.
Alain non può impedirsi di sbirciare di sottecchi la miss commander[1].
Cazzo! È arrossita! Tiene la testa bassa per studiare dei fogli che le ha
passato D’Agout, ma si vede che non sta leggendo. Sorride leggera e il suo
solito pallore da statua di marmo è riscaldato da un leggerissimo rossore che la
rende ancora più bella del solito… NO! Ma che cazzo pensi, Alain? Che può essere
successo ieri notte? Che può essere successo tra loro durante tutti gli anni in
cui sono stati vicini? La verità è che io non so niente di questi due; mi sono
piombati addosso all’improvviso, io non l’avevo chiesta pure questa
complicazione nella mia bella vita di merda. Andrè, lui è una persona come non
ne avevo ancora mai incontrate; merita la felicità che cerca. E la bionda… di
certo nemmeno di tipe come lei ne avevo mai conosciute! E se pure a lei toccasse
un po’ di felicità mica sarebbe sbagliato. Se è successo quello che sembra sono…
contento per voi.
*
Usciamo dal portone. Io vorrei passarti un braccio sulle spalle, ma ora siamo di
nuovo nel mondo reale. Camminiamo per un po’ fianco a fianco, parlando della
giornata. Ed è bello anche così, con il sole del mattino che ti illumina il
viso.
“Andrè, non possiamo arrivare insieme in caserma.” Il tono è pratico, ma sotto
scorre un fiume di tristezza che per un attimo mi annienta. Anche tu ti sei resa
conto che siamo rientrati nel mondo reale. Hai ragione. Hai tristemente ragione.
“Giusto. Allora dividiamoci e io farò in modo di arrivare qualche minuto dopo di
te.” Ti sorrido per dimostrarti che non sarà certo una cosa simile a rovinarci
la giornata, la vita, e tu mi sorridi per dimostrarmi che hai capito
perfettamente. Ma quanta tristezza nei nostri sorrisi. Ti sollevo la frangia con
la mano destra e ti bacio la fronte prima di prendere la mia strada. Fanculo il
mondo reale.
Quando arrivo in caserma ti vedo parlare con D’Agout ed i miei compagni di
bevute. Ex compagni di bevute. Non la prenderanno bene, ma pazienza. Piuttosto,
dovrò trovare un modo per svincolarmi. Non sarà facile. E il saluto di Gros Jean
me ne da subito la conferma.
“E buongiorno anche al nostro Grandier! Svegliato tardi stamattina? Spero per te
signorino che hai almeno una buona giustificazione! Ahahgahahah!”
Cosa vuoi, gigante? Proprio oggi hai deciso di sputtanarmi davanti ad Oscar?
Beh, hai scelto il giorno sbagliato! O quello giusto, dipende dai punti di
vista. Comunque io stamattina sono felice e sorrido a tutti augurando il
buongiorno. No Oscar, non fare questi errori davanti a loro! Ti ho vista
abbassare lo sguardo sui fogli che ti ha passato D’Agout ed arrossire come una
ragazzina. Sei adorabile, ma rischi di farti scoprire. Gros Jean si crede il più
dritto di Parigi, ma pare proprio non si sia accorto di niente. Lazare e gli
altri ragazzini ti fissano come un branco di scolaretti con la cotta per la
maestra. Alain… Alain ha uno sguardo che non mi piace.
*
Attraverso il cancello della caserma con un passo leggero come il mio cuore. Non
ti accorgi di vivere con un peso addosso sin quando non te ne liberi. Vedo D’Agout,
che potrebbe essere mio padre sia per l’età sia per come ha iniziato a tenere a
me, e mi avvicino per parlare della giornata lavorativa. Ma la conversazione
scorre via più leggera del solito. Ma certo; non mi sento più rimbombare in
testa quel tono odioso che era ormai diventato parte di me. Se D’Agout se ne
accorge non lo da a vedere, ma parla in maniera più sciolta anche lui.
“Buongiorno comandante! Bella giornata, eh?” Il vocione di Gros Jean annuncia
l’arrivo della banda di Alain.
“Buongiorno ragazzi. Sì, effettivamente è una bella giornata. Ottima per gli
allenamenti.” E sorrido. Non posso farne a meno. Quelli non sono abituati a
vedermi sorridere e ci restano di sasso. Lazare mi fissa con la mascella
leggermente pendula. Cielo, mi sono affezionata a questa banda di matti.
“Eh, già è un vero piacere fare un po’ di sana attività fisica quando c’è questo
bel tempo, eh!” Gros Jean sembra particolarmente allegro e allora io posso
permettermi di continuare a sorridere.
Dal cancello entra Andrè. Un tuffo al cuore. Immagini della mattinata appena
trascorsa con lui mi affollano la mente. Abbasso il viso sui fogli che mi ha
passato D’Agout, ma non ho la più pallida idea di cosa ci sia scritto. Mi sento
il viso in fiamme come una ragazzina. Devo controllarmi prima che qualcuno se ne
accorga.
*
In qualche modo la giornata passa. Cioè, una giornata normalissima: allenamenti,
pattugliamenti, ordinaria amministrazione. Però io quei due li ho tenuti
d’occhio e ormai sono convinto che qualcosa è cambiato. Andrè è quasi identico
al solito, ma lei porta scritto in faccia un cambiamento. La osservo ogni volta
che mi è possibile e ogni volta noto un nuovo particolare; una scintilla nuova,
più viva, negli occhi, il sorriso più frequente e meno tirato, ed in generale
una luce che sembra uscire da lei ed avvolgerla. Vorrei svelare il suo mistero…
Mi accorgo che Andrè mi fissa mentre fisso il comandante e allora gli domando
che programmi ha per la serata.
“Resto a casa.” Lo dice in modo secco, definitivo, a sottolineare che quel
periodo è finito.
Ho capito. Ho capito tutto e non ho capito niente.
*
Alain, ti ho visto, sai? Ci hai studiati tutto il giorno, come un entomologo. A
differenza degli altri hai un cervello funzionante e so che hai capito. Ma non
hai capito tutto. Io sono un passo avanti a te e so anche che qualcosa di acido
ti rode dentro. Ti ho osservato mentre la osservavi e… dio! Pensi che non abbia
mai visto quello sguardo? L’ho visto e lo riconosco, Alain. L’ho visto per anni
negli occhi di Girodel, un altro suo sottoposto. Ed in fondo, non siamo tutti
sottoposti a lei? Girodel all’inizio la guardava con disprezzo e sufficienza,
quella ragazzina che gli aveva rubato il posto. Poi ha iniziato a farsi strada
la curiosità. Che infine ha lasciato il posto all’adorazione. Ed in te, Alain,
sto osservando lo stesso percorso, solo che tu non ne sei ancora consapevole.
Girodel ha saputo rinunciare a lei perché, devo ammetterlo, è un vero signore,
soprattutto per gli standard di Versailles, e perché il suo era, è, un amore
sincero. Per questo la sua proposta mi aveva terrorizzato come mai prima
d’allora. E ora tremo, perché tu non sei un signore e soprattutto non so se il
tuo amore per lei supera il tuo naturale egoismo animale.
*
La giornata finalmente è finita.
Penso a come organizzarmi per andare da Andrè, ma poi mi fermo mentre riordino
la mia scrivania. Andrè vorrà che vada a casa sua anche stasera? Forse ho dato
per scontato questa cosa…
Dalla finestra del mio ufficio ti vedo avviarti al cancello. Ti giri un secondo
verso di me, come se fossi sicuro di trovarmi e mi sorridi, facendo un leggero
cenno con la testa verso il cancello. Un’altra crosta cade lontano dal mio
cuore.
Vedo il gruppo di Gros Jean avvicinarti. “Grandier! Sei dei nostri anche
stasera?”
“No ragazzi, ho esagerato in queste settimane. Mi prendo un congedo.” Sorridi
nel dirlo e subito ti giri e ti riavvii.
“Ma certo Grandier, un congedo! Lo accetto solo se hai trovato un passatempo più
interessante, ahahgahahah!” ti urla dietro quel bestione. Tu nemmeno ti giri,
limitandoti ad alzare il braccio in segno di saluto.
Ora devo solo aspettare qualche minuto, e dopo che tutti se ne saranno andati
potrò uscire anch’io.
*
Giuro che non lo so che ci faccio appoggiato a questo muro sudicio, in questo
vicolo che puzza di piscio, ma che mi offre un’ottima visuale del tuo palazzo.
Non lo so davvero. Pensavo di essere più intelligente della media, ma
evidentemente la vita non mi ha concesso nemmeno questa magra consolazione. Ora
me ne vado a casa mia, cazzo. Diane avrà preparato la cena. Sto per muovermi
quando vi vedo, sdegnosa donna in uniforme, ma che non disdegna un giretto nei
quartieri bassi per passare la notte nella mansarda del suo sottoposto.
Scommetto che lo fate stare sotto. Mi scopro a digrignare i denti mentre vi
osservo accelerare il passo mentre vi avvicinate al portone con un sorriso che
non mi lascia più uno straccio di dubbio.
*
Ceniamo insieme, come stamattina abbiamo fatto colazione. È così facile
abituarsi alla felicità?
“Sai, dovresti portarti un po’ di roba qui.”
Alzo la testa dal piatto di zuppa che hai preparato tu con uno sguardo
interrogativo.
“Sì, beh, una camicia da notte, un paio di vestiti puliti, la spazzola..."
Riabbasso lo sguardo sul piatto e raffreddo un po’ la zuppa con paio di lacrime.
Sento che ti alzi e ti avvicini. “Oscar! Cosa c’è?”
La preoccupazione nella tua voce asciuga le lacrime e mi fa sorridere. “Niente,
Andrè. Sono solo felice. E non ci sono abituata!”
Ora possiamo ridere insieme, dopo tanti, troppi anni.
Fine Quarta Parte
)
[1]