UNA RELAZIONE PERICOLOSA II

 

Abbiamo passato le nostre due settimane di congedo ad Arras.

Dopo tanti anni siamo tornati nei luoghi che ci hanno visto ragazzi.

Ma stavolta tutto è stato diverso.

Abbiamo impresso un nuovo significato alle nostre vite.

Prima di partire ho scritto una lettera a Girodel in cui gli dicevo chiaramente che non intendevo sposarlo e lo pregavo di ritirate la sua proposta se davvero provava un briciolo di amore e di rispetto nei miei confronti.

Non ho atteso la risposta. Siamo partiti e basta. Avevamo bisogno di un tempo e di un luogo nostro, solo nostro.

Dopo tanti anni nessuno si è insospettito o ha fatto illazioni sul fatto che nella casa di Arras abbiamo passato due settimane completamente da soli, senza neanche la servitù che non era stata preavvertita del nostro arrivo.

La vita che mi aveva imposto mio padre ci ha concesso la possibilità di vivere senza preoccupazioni questo periodo.

Nessuno sospetta che abbiamo passato queste due settimane a fare l’amore in ogni stanza della casa, ridendo come ragazzini e mangiando nudi a letto.

*

Al nostro ritorno a casa mi aspettava una lettera di Girodel nella quale dichiarava il suo amore nei miei confronti ed affermava che l’unico modo per dimostrarlo era rispettare la mia volontà ritirando la proposta di matrimonio. Mio padre era partito con le sue truppe e mi aveva lasciato un biglietto laconico: “Sarai contento.” Sì padre, sono contenta.

*

La vita in caserma e a casa è ripresa come prima, ma meglio di prima.

La mia serenità si trasmette ai soldati e mi convince che sto vivendo il periodo migliore della mia vita.

*

Sto seduto in poltrona con un calice di vino in mano. È il secondo? Il terzo? Importa qualcosa? No, importa solo sapere.

Bussano alla porta.

Etienne entra tenendo un documento stretto al petto.

“Parla.” Gli ordino.

Lui sembra mettere insieme le idee. “Vede, signor conte, ho seguito la contessina Jarjayes come lei mi aveva ordinato ed è effettivamente andata nella tenuta di famiglia ad Arras.”

Si ferma e devo farlo ripartire come un giocattolo con la chiavetta. “Ebbene?”

“Ecco, signor conte, è andata con il suo attendente, quel Grandier.”

Ora mi sta irritando. “Non c’è bisogno di sottolinearlo! È cosa risaputa che il padre le ha messo a servizio quel ragazzo per difenderla. Sarà anche un ottimo militare, ma è sempre una donna.” Ed io lo so bene, io che l’ho sempre osservata attentamente, a differenza degli altri stupidi, stupidi uomini a Corte.

“Appunto, signor conte.”

“Appunto cosa, Etienne?” ora mi fai rovesciare il vino, dannazione.

“Appunto, è una donna. Mi sono informato e ho saputo che in casa non c’era neanche una cameriera, o una cuoca. Sono stati completamente soli per tutto il periodo. Questo, a differenza di tanti altri, mi ha insospettito ed ho iniziato a sorvegliare la casa. Una sera sono usciti e si sono diretti verso la chiesa del paese.”

Qui si ferma di nuovo. Vuole che gli faccia le domande per farlo proseguire. E sia. “E cosa ci sono andati a fare in chiesa di notte?” svuoto il calice.

“Questo, signor conte.” E mi porgi i documenti che stringevi al petto. Io li afferro e ci butto sopra un’occhiata distratta.

Poi il calice mi cade di mano per infrangersi sul pavimento di marmo.

Quello che ora stringo tra le mani è un contratto di matrimonio.

*

Ci avviamo oltre l’ingresso principale della caserma, vicini, e intanto salutiamo Alain e gli altri ragazzi.

Poi vi vedo.

Stagliato nel tramonto color sangue, con i capelli mossi dal vento e completamente immobile per il resto. Persino il vostro sguardo è innaturalmente fermo.

Non faccio in tempo però a dire nulla.

Voi alzate lentamente ma fermamente la pistola che tenevate nella mano destra, nascosta prima dietro le falde della vostra giacca.

Vedo una lacrima scorrere sul vostro volto.

Vi vedo muovere le labbra.

Vi vedo premere il dito sul grilletto.

Sento lo sparo, ma una frazione di secondo prima dell’esplosione sento le vostre parole, sussurrate e portate dal vento: “Io vi amavo, puttana.”

*

Lo vedo e sento un brivido.

Un istante dopo tu cadi all’indietro ed una nuvola di sangue ti esplode dal fianco sinistro.

Alain ha i riflessi pronti e ti afferra prima che tu rovini nella polvere.

Io resto congelato, senza parole, senza gesti, senza pensieri. Senza vita. Fino a quando un secondo sparo non mi sfiora la tempia e mi manda a fuoco l’occhio sinistro. Cadendo al suolo sento il rumore del terzo sparo.

*

Non capisco.

Non capisco questa donna, questa aristocratica in uniforme che viene a parlarci di libertà dello spirito come fosse una di noi.

Non capisco il suo attendente, che si sta rivelando il mio primo vero amico, ma di cui non so assolutamente nulla, perché io parlo e lui ascolta. Lui non parla. Non parla di sé. Non parla della bionda. Niente. Non capisco, non mi fanno capire.

Li ho visti camminare sull’orlo di un burrone nei giorni in cui persino a noi era giunta la voce del matrimonio del comandante. Lazare, Jean, Pierre e François erano disperati, quei ragazzini. Poi quei due scompaiono per due settimane e tutto sembra risolto. Il comandante resta il nostro comandante, non si parla più di matrimonio. Tutti felici, soprattutto i ragazzini con la cotta per la spilungona bionda. Anzi, soprattutto la spilungona bionda. E André.

Poi stasera vedo quel damerino altre l’ingresso principale della caserma e non so come capisco che è il promesso sposo mancato. Lo capisco dalla disperazione che emana dal suo corpo immobile. Ma lui è stato troppo veloce. Io ho fatto solo in tempo ad afferrarla per impedire che si sporcasse nella polvere del selciato. Non ho fatto in tempo ad aiutare André, anche perché proprio non me l’aspettavo che sparasse anche a lui. Invece il colpo che alla fine si è tirato lui in testa non mi ha sorpreso. Né tantomeno mi è dispiaciuto.

*

Il dottor Lassonne mi ha appena disinfettato la ferita, mettendomi una benda pulita. Non devo togliere la benda fino a quando lui non darà il permesso, altrimenti perderò l’occhio sinistro. Ora è sceso per andare a cambiare le fasciature di Oscar.

Bussano alla porta.

Dico “Avanti” solo perché so che siete voi.

Infatti la prima testa che fa capolino è quella di Alain. Poi vedo la sua uniforme; è sporca di sangue. Del tuo sangue.

“Come ti senti, André?” Il povero Lazare appare sconvolto. Lo siete tutti. Soprattutto i ragazzini, quelli con la cotta per te.

Io fisso il soffitto. “Il dottore dice che sono stato fortunato; pochi centimetri e mi avrebbe fatto saltare la testa. Sono un uomo fortunato…” e scoppio a ridere. Mi dispiace, sto che vi sto mettendo in difficoltà, ma non riesco a trattenermi.

“Lei non si è ancora svegliata. Quando siamo usciti il dottore le stava somministrando un calmante per poterle medicare la ferita senza farla soffrire troppo.”

E lo sento, Alain. Sento il dolore trattenuto nella tua voce. E non è il dolore per un bravo comandante. Mi dispiace, Alain. Davvero.

“Bene.” Non riesco ad esprimere concetti più complessi.

“Ehm, allora noi ti lasciamo riposare…” François guarda gli altri per capire se ha detto la cosa giusta. Lo soccorro io. “Sì, grazie ragazzi. Ora vorrei riposare un po’.”

Salutando uscite tutti.

La porta si chiude e tu sei ancora qui.

Lo immaginavo.

Prendi una sedia, la avvicini al mio letto e ti ci siedi al contrario a cavalcioni.

“Voglio capire.”

*

Seduto sulla sedia, di fianco al tuo letto comodo nella tua bella stanza, ascolto il racconto più assurdo che abbia mai sentito. E sì che ne ho sentite di storie assurde nelle osterie di Parigi. Ma questa batte tutte le storie e tutti i romanzi che ho letto.

Non so è effetto del trauma che hai appena subito, se è per i calmanti che ti ha somministrato il dottore o se è solo perché finalmente qualcuno te lo ha chiesto in maniera diretta. So solo che sei un fiume in piena. Così vengo a sapere della morte dei tuoi genitori, del tuo trasferimento a casa Jarjayes, del primo, traumatico incontro con quella bambina assurda. E poi il lavoro a Corte, gli anni della giovinezza, la tua infatuazione per quella puttana della Merteuil e dello strappo con Oscar. Sono sconvolto da tutte queste informazioni, ma il meglio lo riservi per il finale. Ora so nel dettaglio della proposta di matrimonio di quel damerino, della cioccolata avvelenata e del vostro viaggio ad Arras. Mi racconti del vecchio prete che vi aveva visto bambini e che è stato felice di celebrare il vostro matrimonio clandestino. Ecco, quest’ultima rivelazione mi provoca una sensazione sconosciuta, un tipo di dolore che non avevo mai provato prima e a cui non so e non voglio dare un nome…

“E quindi pensi che il damerino lo abbia scoperto e che per questo vi abbia sparato?” domando per non dover pensare a quello che mi sta succedendo tra il petto e lo stomaco.

Tu mi guardi in quel tuo modo strano, fermo e sereno, ma che è come una freccia che arriva dritta al punto. Ammetto che a volte mi inquieti, Grandier.

“Mi sembra l’unica spiegazione logica, anche pensando a quello che ha detto prima di sparare a Oscar.”

“Io ti amavo, puttana.” Le parole di quel folle mi girano in testa da quando le ho sentite. Io ti amavo. Lo ha detto e lo pensava. L’ho sentito persino io. Puttana. Ha aggiunto questo perché lo pensava. Ho capito anche questo. E per esperienza so che quando un uomo da della puttana ad una donna è perché questa donna gli ha preferito un altro uomo e lui è rimasto a bocca asciutta. Evidentemente certe dinamiche uniscono tutti i ceti sociali. Ma c’è qualcosa che mi rode nel profondo, oltre il fatto evidente che quell’infame ha sparato al comandante e ad André.

Come al solito André ci arriva prima di me.

Dio se mi fa incazzare.

“Sei preoccupato, Alain.”

Non è una domanda. Stronzo.

“No, io… sono solo incazzato con quello che si è permesso di spararvi. Mi dispiace che si è ammazzato da solo, questo sì.”

“Tu non sei quel tipo d’uomo, Alain.”

Adesso basta, non è possibile. “Ne sei sicuro, Grandier?” mi esce questa domanda, quando invece volevo dirti che non avevi capito proprio niente.

“Sì, ne sono sicuro Alain. Il fatto che tu ne sia innamorato non significa che ti porterà a compiere gesti folli. Tu sei una brava persona.”

Questa poi non me l’aveva detta mai nessuno. Mi scappa una risata soffocata e le labbra mi si stirano in un ghigno.

“È per questo che sto per chiederti un favore.”

Alzo lo sguardo e ti fisso.

“Dovresti controllare a casa di Girodel e vedere se trovi il contratto di matrimonio. Sospetto che lo abbia lui.”

Ti fisso con la bocca spalancata. “Cioè, dovrei introdurmi nella casa di un conte e rubare un documento?” E qui una risata ci sta tutta.

“Se il documento dovesse arrivare nelle mani del Generale, Oscar ed io siamo morti.”

E come posso ribattere a questa verità?

*

Ora mi tocca fare il ladro. Quando da ragazzino avevo giurato a me stesso e a Diane che mai avrei rubato qualcosa. E fino ad oggi ero riuscito a mantenere la promessa. Però sto rubando una cosa che il damerino per primo ha rubato, quindi in realtà sto riparando un torto. Certo, vallo a spiegare al giudice quando mi arresteranno!

La casa è silenziosa.

Per forza, dopo quello che è successo.

Poi questa era la residenza privata del damerino, ed ora sono tutti nella magione principale dei Girodel.

Posso cercare con calma.

*

Deve essere notte fonda.

Ero riuscito ad addormentarmi, ma evidentemente non tanto profondamente.

Altrimenti non avrei potuto accorgermi della presenza nella mia stanza.

Apro l’occhio destro e lo vedo.

Il Generale Jarjayes.

Che mi punta una pistola alla testa.

*

Lo fisso per qualche istante.

Gli trema la mano. Ha uno sguardo folle. Ma non mi stacca gli occhi e la pistola di dosso.

“Non hai nulla da dire, servo?”

Carica quell’ultima parola di tutto il disprezzo che può. Ed è tanto.

“Suppongo che il compianto conte Girodel vi abbia inviato i documenti prima di avviarsi alla sua prode missione.”

“Non osare rispondere con questo tono saccente! Se hai potuto istruirti è stato solo merito mio!”

Vi guardo negli occhi. Vedo rabbia, vergogna, folle determinazione.

“È vero, signor Generale. E ve ne sono grato. Mi avete permesso di vivere una vita al di sopra delle mie possibilità. Mi avete permesso di vivere una vita al fianco di Oscar.”

Mi colpisce alla tempia con il calcio della pistola.

“Non osare nominarla, servo!”

Siete sull’orlo delle lacrime. Povero, piccolo uomo.

“Perché non dovrei chiamare il nome di mia moglie?” Visto che devo morire è bene mettere le cose in chiaro.

Digrignate i denti, delle lacrime di rabbia sfuggono dai vostri occhi glaciali.

“Cosa vi disturba, signor Generale? Il fatto che Oscar, nonostante le vostre imposizioni, non abbia mai dimenticato di essere una donna, oppure il fatto che abbia scelto come sposo un servo?”

Rispondete tirando indietro il cane della pistola.

“Permettetemi di farvi riflettere su un particolare, signor Generale. Suppongo che Parigi e Versailles siano già in fermento. Il conte Girodel ha sparato alla donna che lo ha rifiutato e poi si è tolto la vita. Il colpo che ha ferito me può anche non essere menzionato o lo si può far passare per un secondo colpo diretto ad Oscar che ha sbagliato mira. Comunque l’onore di Oscar e del Casato Jarjayes ne esce intatto; voi siete le vittime. Ma se voi ora mi uccidete causerete una nuova ondata di pettegolezzi ed illazioni, questa a vostro totale svantaggio. Perché il Generale ha ucciso l’attendente della figlia? Ma allora anche il conte Girodel mirava espressamente al servo? Quanto tempo credete impiegheranno per arrivare alla risposta? E allora sì che potrete dire addio all’onore del casato, a cui tenete più che alla vita, di chiunque.”

Mentre parlo vedo passare sul volto del Generale ogni tipo di emozione negativa. Ogni mia parola lo obbliga ad abbassare un po’ di più il braccio con cui mi punta contro la pistola. Quando finisco si addossa al muro, a testa china e con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Un burattino a cui sono stati tagliati i fili.

“Quindi, servo, mi stai dicendo che la soluzione migliore per tutti e che io permetta questo… abominio… senza mai dire o fare nulla?”

“Sì, signor Generale. È la soluzione migliore per tutti. Se Oscar sopravvive.”

*

Di tornare a dormire non se ne parla.

Fisso il soffitto cercando di ignorare il dolore pulsante all’occhio sinistro, dove il Generale mi ha colpito.

È uscito dalla mia stanza invecchiato di dieci anni.

Una parte di me prova pietà per quell’uomo schiavo delle regole.

Una parte piccola.

Sì, signor Generale. È la soluzione migliore per tutti. Se Oscar sopravvive.

Scatto in piedi così velocemente che un feroce capogiro mi fa ripiombare sul letto.

Facendo violenza su me stesso, mi impongo di muovermi lentamente. Dentro urlo.

Scendo le scale in silenzio.

Apro la porta della tua stanza.

Lui è lì.

In piedi, di fianco al letto in cui tu giaci priva di sensi da ore.

Una principessa addormentata minacciata dal drago malvagio.

“Se lei muore il problema è risolto.”

Non rispondete. Non vi girate nemmeno a guardarmi. Continuate a fissare lei, con il pugnale a pochi centimetri dal suo fianco ferito.

“Meglio morta che sposata con un servo. È così, signor Generale?”

“Sì.” Ed è la voce di un morto quella che sento.

*

Succede tutto in un istante.

Vi vedo alzare il pugnale per calarlo sul fianco ferito di Oscar e mi slancio verso di voi. La colluttazione è breve. Deve essere successo mentre rotolavamo a terra. Mi siedo e vi osservo. Il vostro pugnale, con il quale volevate uccidere vostra figlia, si è piantato in profondità nel vostro cuore.

*

Resto qualche secondo, o qualche anno, non ne sono consapevole, seduto per terra a fissarvi. Una bolla di saliva e sangue si gonfia all’angolo della vostra bocca quando girate appena la testa e, fissandomi con spalancati, increduli, ma ancora più rabbiosi, mi soffiate le vostre ultime parole: “Non avete futuro.” E con un sorriso cattivo sulle labbra spirate.

*

Guardo Oscar. Dorme. O la sua anima si è già avviata sull’ultimo sentiero?

Guardo il Generale. Lui non è più.

Mi alzo e mi avvio verso lo studio personale del Generale.

*

La casa è silenziosa e posso tornare nella mia camera senza problemi. Nascondo il contratto di matrimonio tra le pagine di un libro e lo ripongo nella mia piccola libreria.

Mi lascio cadere sul letto.

L’occhio sinistro pulsa.

Attenderò l’alba sveglio.

*

Povera Josephine.

Deve essere stata mandata da mia nonna a controllare le condizioni di Oscar prima di salire lei stessa.

Ora Josephine sta urlando e tutta la casa è perfettamente sveglia.

Tranne Oscar.

*

Esco dalla mia stanza e seguo il fiume di persone verso la camera di Oscar. Si abbracciano, urlano e piangono. Io non riuscirei a spremermi una lacrima nemmeno di fronte alla Corte Suprema, per quell’uomo. Ma mi stampo in faccia un’espressione sinceramente preoccupata e disperata.

“Cosa succede? Come sta Oscar?”

“Oh André! Oscar dorme ancora. E il signor Generale che…” e la mia povera nonna si soffia il naso nel suo fazzoletto immacolato.

Entro nella stanza e lo vedo come lo avevo lasciato solo poche ore fa. Ovviamente. Sdraiato per terra di fianco al letto della figlia, con il pugnale di famiglia piantato nel cuore e la mano destra irrigidita intorno all’impugnatura.

Resto immobile a fissarlo e gli altri scambiano la mia immobilità per costernazione e dolore.

Poi il tocco d’artista, non previsto. Perdo i sensi. Ho appena il tempo di vedere il pavimento avvicinarsi minacciosamente alla mia faccia.

*

Il dottor Lassonne non ha dubbi; il Generale non ha retto all’idea di perdere il suo erede designato e si è tolto la vita. E non sarò certo io a smentire il buon dottore.

Anche su un’altra cosa il dottore non ha dubbi; il mio occhio sinistro è perduto.

*

Nel tardo pomeriggio passano i ragazzi. Poverini, frequentare la famiglia Jarjayes si sta rivelando un’esperienza davvero sfibrante per loro.

Riesco a restare solo con Alain. Io per ordine di Lassonne devo restare sdraiato a letto, così Alain si riappropria di quella che ormai è la sua sedia.

“André, a casa del damerino non c’era il documento.”

“Lo so. L’ho trovato io.”

Alzi un sopracciglio. “Dove?”

Fisso il soffitto. “Nello studio del Generale.”

Tu hai appoggiato il mento sulle braccia incrociate sulla testiera della sedia e mi fissi, ma con tranquillità.

“Quindi era arrivato nelle mani del Generale?”

“Già. Un ultimo regalo di Girodel.”

“Capisco.”

Giro lentamente la testa verso di te e delle scariche elettriche mi attraversano tutta la parte sinistra. “Davvero?”

“Davvero.”

*

Nel cuore della notte capisco che continuare a tentare di dormire è inutile.

Devo scendere da te.

Le vertigini distorcono il corridoio e le scale; vedo tutto come in un caleidoscopio, uno di quelli che avevamo da bambini. Chissà dove sono, ora?

Riesco ad arrivare alla tua porta.

Mi sdraio al tuo fianco.

Ti guarderò, con il mio unico occhio, fino a quando non ti sveglierai. Oppure ti seguirò.

*

Ho osservato il volgere della notte sul tuo volto, il cambiare delle ombre e delle luci, sino ad arrivare a l’ora più buia; quella che precede l’alba. Le tue palpebre vibrano. Io attendo. Non ho fretta. Poi finalmente, dopo questi giorni infiniti, posso tornare a vedere il colore dei tuoi occhi.

Non parlo. Non voglio confonderti. Attendo senza mai distogliere lo sguardo da te.

La pallida luce dell’alba imminente ti fa splendere gli occhi.

“André… raccontami tutto.”

La tua voce, dopo tanti giorni, è roca. Mi piace.

Poso leggera la mia mano sulla tua guancia e, senza staccare il mio occhio dai tuoi, inizio a raccontarti tutto. Senza nasconderti nulla.

*

Quando il mio racconto termina la camera è perfettamente illuminata.

Un nuovo giorno è qui.

*

Tu mi hai ascoltato senza mai interrompermi, senza mai incalzarmi, anche quando mi bloccavo e non sapevo come andare avanti.

Mi hai ascoltato in silenzio e in silenzio hai versato le tue lacrime.

Una lacrima per Girodel. Una lacrima per tuo padre. Una lacrima per il mio occhio. Nessuna lacrima per te stessa. A quella ci penso io.

*

Ti serve un po’ di silenzio per riflettere.

Io creo una bolla circondandoti con le mie braccia e nascondendo il tuo viso nel mio petto. È tutto quello che posso fare.

*

Senza scioglierti dal mio abbraccio alzi il tuo volto sul mio.

Capisco che hai preso le decisioni necessarie. Ed io ti seguirò.

*

Quando la nonna e il dottor Lassonne entrano trovano me seduto nella poltrona accanto al tuo letto e te appoggiata sui cuscini. Sveglia.

La nonna lancia un urlo e corre ad abbracciarti. Il dottore si limita a sorridere.

*

“Bambina mia, ci sono alcune cose che dovresti sapere…” comincia col dire la nonna, sciogliendoti dal suo abbraccio.

“Non ti crucciare, nonna. André mi ha già raccontato tutto.” La lacrima che percorre il tuo viso dall’angolo dell’occhio alle labbra è sincera e dignitosa, e la nonna capisce che non servono altre parole.

*

I funerali del conte Girodel si svolgono in provincia, in forma strettamente privata, così come le esequie del Generale de Jarjayes.

Il fatto che entrambi si siano suicidati ha creato problemi dal punto di vista religioso, e lo scandalo che ancora echeggiava ha portato entrambe le famiglie a chiudersi nel proprio dolore. La contessa Girodel ti ha scritto una lettera piena di ingiurie in cui ti accusava della follia e della morte del figlio. Ti ho trovata seduta davanti al camino accesso con la lettera stretta tra le mani e gli occhi smorti. Ti ho preso la lettera dalle mani, l’ho letta, l’ho accartocciata tra le mie mani e l’ho gettata nel fuoco.

*

Dopo l’inumazione delle spoglie del Generale siamo tornati a casa.

Seduti al tavolo di fronte a tazze di tè fumante c’erano tua madre, le tue sorelle ed i loro mariti.

Tu eri seduta a capotavola, al posto che fino a pochi giorni prima occupava tuo padre. E hai parlato come un vero capofamiglia.

“Credo sia il caso di approfittare del fatto che siamo tutti qui riuniti per sistemare le faccende di famiglia.”

Un silenzio pieno di rispetto ha accompagnato le tue parole e ti ha incoraggiato a proseguire.

Hai bevuto un sorso di tè, hai posato la tazza e hai spiazzato tutti. “Annuncio ufficialmente la mia rinuncia al titolo di erede del Casato Jarjayes.”

Tua madre mi è sembrata meno stupita rispetto alle tue sorelle.

“O meglio, trasmetto il titolo di erede a mio nipote Louis Antoine de Marsac, secondo figlio maschio di mia sorella Genévieve, il quale raggiunta la maggiore età potrà assumere il titolo di Conte de Jarjayes, tramandandolo poi ai suoi figli.”

Lanci uno sguardo a tua madre, che fa un leggero cenno del capo a tuo esclusivo beneficio. Le tue sorelle sono confuse; Genévieve non è la maggiore. Ma tutti sanno che è sempre stata la tua preferita, che i suoi figli sono beneducati e che il secondo frequenta già con profitto l’Ecole Militaire.

Il conte di Marsac si alza e si avvicina per stringerti la mano. “Oscar, siamo onorati della vostra scelta. Accetto a nome di Louis Antoine la vostra generosa offerta e prometto che ci impegneremo affinchè il nome dei Jarjayes sia sempre sinonimo di coraggio e lealtà.” Tu gli stringi la mano a suggellare l’accordo e solo io posso notare la scintilla nel tuo sguardo nel momento in cui tuo cognato ha parlato di lealtà e coraggio.

Hortense prende la parola dando voce al dubbio comune: “E tu cosa farai, Oscar? Pensi di sposarti?”

Non puoi reprimere un sorriso. Loro non posso sapere cosa si nasconde davvero dietro quel sorriso. “No Hortense, non ho intenzione di sposarmi. Quella che forse all’inizio era un’imposizione si è trasformata nella vita che amo. E che ho intenzione di proseguire.”

“Vuoi continuare la tua carriera militare?” Josephine è sinceramente stupita, anche se forse è l’unica.

“Sì Josephine, voglio proseguire a lavorare. Voglio continuare ad indossare l’uniforme. Mi piace. È la vita che scelgo.”

*

Sono stati mesi lenti e frenetici allo stesso tempo.

Le visite di controllo del dottor Lassonne, per te e per me.

Gli incontri con il notaio per trasferire il titolo di erede del Casato a Louis Antoine.

Le chiacchiere che ancora echeggiavano a Parigi e a Versailles.

Una nuova routine da instaurare in caserma.

Ma la caserma è il luogo in cui ci sentiamo più a nostro agio. I ragazzi sono felici che tu sia tornata, che sei tornata per restare. Loro non fanno chiacchiere. Loro parlano con te, con noi, con una semplicità che in altri ambienti è impensabile.

Ma no, non è la caserma il luogo in cui ci sentiamo maggiormente a nostro agio. Il luogo in cui siamo più felici è casa nostra. Ufficialmente è casa mia. Nessuno si è stupito quando ho detto di voler affittare un appartamento a Parigi, più vicino alla caserma. In fondo da tempo non ero più un dipendente della famiglia Jarjayes. Ufficialmente tu resti spesso a dormire nei tuoi alloggi in caserma. In realtà viviamo insieme. Perché siamo sposati.

I ragazzi lo hanno capito, ma non ci tradiranno. Nemmeno Alain farà sciocchezze. Ti ama, ma ti rispetta. Ed è una brava persona.

L’atmosfera a Parigi cambia di giorno in giorno. C’è elettricità nell’aria, come prima di un temporale estivo.

Tu ti permetti di discutere con i ragazzi di tutto quello che succede, a Parigi e in tutta la Francia. Le persone cambiano, le idee cambiano e tu vuoi capire. Non sei più l’erede del Casato Jarjayes, sei solo Oscar, e puoi permetterti di essere te stessa, almeno con i tuoi soldati, che ti capiscono e ti rispettano ogni giorno di più.

Abbiamo passato la vita insieme ed insieme proseguiremo, qualunque cosa ci riservi il futuro.

Forse arriverà il giorno in cui potrai presentarti come Oscar Françoise Grandier.

Se per ottenere questo diritto saremo costretti a combattere, combatteremo.

In fondo, è quello che facciamo da una vita.

 

 

Fine

Moonia (mail to: monia.guredda@gmail.com)