LA DEA

 

 

“Sua Maestà, come vuole festeggiare il suo prossimo genetliaco?”

“Ooh, contessa de Polignac, ho avuto un’idea deliziosa! Ho pensato ad una festa in maschera sul tema dell’Antica Grecia, in cui ogni invitato interpreterà una divinità greca oppure un personaggio dell’Odissea! Che ne pensate?”

“Maestà, è davvero un’idea intrigante! Lei e Sua Maestà il re ovviamente interpreterete Zeus ed Era; sarete incredibili! Però dovremmo pensare noi ad assegnare i ruoli agli invitati, per evitare sgradevoli incidenti come avere in sala due Venere o due Marte.”

“Avete perfettamente ragione, contessa. Iniziamo a stendere un elenco degli invitati per poi assegnargli il ruolo. Oh, sarà divertente!”

*

“Ehi tu, perché te ne stai sempre in disparte a bere da solo? Vieni a divertirti con noi!”

Che serata. Quanti pugni ho dato. E quanti ne ho presi. Per dimenticare non c’è niente di meglio che bere. Però… come ci si sente male dopo. Oscar, anche se mi ubriaco non riuscirò mai a non pensare che presto anche l’occhio destro non potrà più vedere la luce del sole. La cosa che mi fa soffrire di più è che non potrò più vedere te…

Ti trovo seduta a fissare le fiamme che muoiono danzando.

“Dove hai passato la nottata?”

“In giro.”

“La nonna è preoccupata.”

“La nonna sta dormendo, tu no.”

Questa era cattiva, ma almeno è servita a farti distogliere quello sguardo morto dal fuoco ed a fissare una sguardo ferito e cattivo su di me.

Ma dura un attimo e la tua attenzione viene catturata nuovamente dal fuoco.

“Oggi a Corte erano tutti impazziti per la festa del prossimo compleanno di Sua Maestà Antonietta. Vogliono organizzare un ballo a tema in cui tutti interpreteranno una divinità dell’antica Grecia. Il fatto che io non venga coinvolta è un sollievo, ma mi dovrò occupare della sicurezza e nel frattempo dovrò sopportare giornate fitte di chiacchiere futili, gridolini idioti e liti fra donne che possiedono l’intelligenza di una statua di marmo.”

Diamine, stasera sei acida. Capisco quello che provi, ma non ti ho mai sentito così sfinita. È un buon segno o è un segno nefasto?

“Beh, dovrò sopportare tutto questo io pure. Potremmo prenderli in giro, come una volta.”

Riesco a strapparti un sorrisino. Sono abituato a cibarmi delle piccole vittorie e per stasera mi faccio bastare questa.

“Buonanotte, Oscar. Io vado a letto. Dovresti pensarci anche tu.” Magari potresti pensare di fare un salto nel mio, di letto. Ma non sono così ubriaco da dirlo ad alta voce.

Nel mettermi le mani in tasca mi rendo conto di aver perso il portafogli con i miei documenti. Salgo le scale imprecando.

*

“Sapete Maestà, stavo pensando che abbiamo la persona perfetta per interpretare Diana, la dea della caccia e della luna.” La contessa di Polignac lo dice guardando di sottecchi la regina, il mento appoggiato alla mano, un dito sulla guancia.

“Ditemi, contessa; a chi avete pensato? Sono curiosa!”

“Beh, credo che nessuno potrebbe impersonarla meglio del Colonnello Oscar François de Jarjayes.”

Nel salottino privato di Sua Maestà si fa silenzio tra le dame presenti. Per un attimo. Poi iniziano i gridolini.

Antonietta batte le mani come una ragazzina e sorride. “Oh sì, Oscar sarà perfetta! Avrei dovuto pensarci io.”

La Polignac sorride condiscendente mentre dentro di sé esulta. “La vostra umiliazione sarà la mia gioia, Oscar.”

*

La Regina ti ha convocato d’urgenza per un colloquio privato. Vorrà di nuovo farti interpretare il ruolo della paraninfa per lei e quell’insulso di svedese. Tu uscirai di pessimo umore e la giornata sarà rovinata.

Ecco, stai tornando.

Mi sbagliavo, non sei di cattivo umore.

Sei furiosa.

*

Ti devo seguire quando lanci il cavallo in un folle galoppo. Ti fermi sulla sponda del fiume. Io aspetto.

“Mi ha chiesto di interpretare la dea Diana.”

Io stavo suonando un filo d’erba, nell’attesa, e ora mi blocco e ti fisso.

“La dea Diana? Con la tunica, l’arco e le frecce?”

Stringi pugni e trattieni le lacrime.

“È stata una splendida idea della contessa di Polignac. La Regina me lo ha detto come se si aspettasse che io la dovessi ringraziare per questo. L’ho guardata e lei sorrideva in quel modo, come se dicesse “scacco matto.” Bastarda.”

Sei più sconvolta ora della volta in cui aveva mandato dei sicari ad ucciderci.

“Puoi rifiutarti?”

“No. È una richiesta speciale della Regina in occasione del suo genetliaco.”

“E allora ti conviene fare buon viso a cattivo gioco. Se ti presenterai con questa espressione omicida la darai vinta alla Polignac. Tu vai, sorridi, balla, porgi i tuoi auguri alla Regina e hai vinto.”

“Maledizione. Hai ragione.”

Lo so. Peccato che l’immagine di te vestita da donna, da dea, che balli tra le braccia di quei damerini mi stia dilaniando.

*

“Squadra B, capitanata da De Soisson, stasera siete assegnati alla sicurezza della Reggia, in occasione del compleanno di Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.”

“Mi scusi Colonnello D’Agout, ma non ci può pensare la Guardia Reale?”

“Vista l’eccezionalità della serata il livello di sicurezza sarà massimo. Poche storie, Soisson. Io dovrei accompagnare mia moglie alla festa, ma dovrò lavorare con voi.”

*

“Ehi Alain, magari troviamo quel tipo strano che ha fatto bisboccia con noi quella sera e che ha perso i documenti.”

“Hai ragione, Gros Jean. Hai fatto qualche ricerca per capire chi è?”

“Le ho fatte io.”  Ma certo, il piccolo Lazare.

“Spara.”

Lazare legge i suoi appunti seduto al tavolino da gioco della camerata.

“Dunque, il misterioso tipo che ha bevuto con noi si chiama André Grandier, è nato il 26 agosto del 1754 e lavora per il casato Jarjayes come attendente del Generale di Brigata della Guardia Reale Oscar François de Jarjayes.”

“Oscar de Jarjayes… questo nome mi  ricorda qualcosa, ma non so cosa…”

“Ehi, Alain, inizi a perdere colpi!” E come al solito Gros Jean accompagna la sua frase con una manata impressionante sulla schiena. Primo o poi lo ammazza uno dei piccoletti.

“Bah, mi verrà in mente. Anche perché quasi certo che stasera li incrociamo.”

*

Ti ho vista scendere le scale vestita come una dea.

Mia nonna può permettersi di fissarti con uno sguardo estatico e le lacrime agli occhi; io no. Io mi devo mantenere impassibile. Per gli altri, ma soprattutto per te. Se ti facessi un complimento so già che mi fulmineresti con il tuo sguardo che ferisce come una lamina di ghiaccio. Ma vedo che hai difficoltà a camminare con quelle scarpe, così faccio il mio dovere di attendente e ti porgo il braccio. Tu esiti un istante, ma poi accetti.

Ti accompagno alla carrozza e poi salgo a cassetta.

Quando arriviamo di fronte alla Reggia attendo un attimo prima di scendere per aprirti la portiera. Ma tu continui a fissare il palazzo con lo sguardo di una condannata a morte e non ti decidi a scendere.

“Oscar, la Regina ti attende.” E ti porgo il braccio.

Ti accompagno fino alla porta della grande sala da ballo. “Mi raccomando, sorridi. Soprattutto all’indirizzo della Polignac. Sarà la tua vittoria morale.”

Tu non dici niente, ma raddrizzi il busto, sollevi il mento e ti stampi un sorriso in faccia. Io so che è un sorriso finto, perché nonostante tutto me lo ricordo ancora il tuo vero, meraviglioso sorriso. Ma questa gente ottusa non noterà mai la differenza.

Siamo di fronte ai pesanti tendaggi che fanno da sipario alla porta della sala da ballo. Un valletto ci vede arrivare. Ci mette qualche secondo a capire chi sei. Poi spalanca occhi e bocca. Ma ha la decenza di ricomporsi subito.

Tu lasci il mio braccio, prendi un profondo respiro e fai cenno al valletto di annunciarti.

“La contessina de Jarjayes, ovvero la dea Diana!”

Prima di entrare nell’arena giri appena la testa verso di me e sussurri: “Aspettami.”

Certo che ti aspetto, Oscar. Ti aspetto sempre.

*

Però prima di tornare verso la carrozza con gli altri servitori mi voglio godere il tuo ingresso, nascosto dietro la pesante tenda, dall’altra parte del valletto.

E li vedo.

Prima, all’annuncio del tuo ingresso, si è formata una bolla di silenzio profondo.

Poi tu sei uscita dall’ombra della tenda.

E li ho visti.

Occhi sgranati, mascelle pendule, sguardi pieni di invidia (le donne) e di lussuria (gli uomini).

Purtroppo so che, nonostante la tua ingenuità, te ne stai accorgendo anche tu. So che vorresti girarti e scappare. Ma seduti in fondo alla sala ci sono i nostri Sovrani e la Regina Antonietta si è alzata e ti fissa con uno sguardo da bambina felice per aver ricevuto il giocattolo che desiderava.

Così ti vedo attraversare la sala, in mezzo a tutti quegli sguardi che ti spogliano e ti feriscono, ma tu mantieni la testa alta.

Arrivi davanti ai Sovrani e fai loro il primo inchino femminile della tua vita, così pieno di grazia e di dignità che vedo la Polignac, in piedi al fianco della Regina, illividire dalla rabbia. Vedo anche Fersen, pure lui nelle vicinanze di Antonietta, ovviamente, guardarti con degli occhi che non mi piacciono per niente.

Vado ad aspettarti vicino alla carrozza.

*

“Ehi Alain, quello appoggiato alla colonna non è il tipo, quel Grandier?”

“Lo sapevo che lo avremmo beccato, stasera. Grandier!”

“Soisson, ti ricordo che sei in servizio alla Reggia, e non in osteria con gli amici.”

“Mi scusi Colonnello D’Agout, ma quel tipo aveva perso i documenti qualche sera fa ed io sto compiendo il mio dovere restituendoglieli.”

“Va bene, ma manteniamo la compostezza.”

Non è cattivo il Colonnello Testa di Legno.

Intanto André si è girato verso di noi e dopo un attimo ci riconosce e sorride. Sta per dire qualcosa, ma io lo blocco tirando fuori dalla bisaccia i suoi documenti.

“Speravo li aveste trovati voi! Grazie Alain, mi hai risparmiato dei grossi problemi.”

“Di niente, amico.”

“Stia più attento in futuro, giovanotto.”

“Colonnello, la ringrazio sia per il consiglio che per il giovanotto.”

“Alla mia età siete tutti giovanotti. Voi per chi lavorate?”

“Sono l’attendente del Generale di Brigata della Guardia Reale, Oscar François de Jarjayes.”

“Oh, l’erede del Generale de Jarjayes. Ho sentito che si è distinto in numerose situazioni, nonostante la giovane età.”

“È così, Colonnello.”

“Immagino si trovi qui a garantire il servizio di sicurezza come noi.”

“Ehm, no Colonnello. Sta partecipando alla festa su espresso invito dei nostri Sovrani.”

“Capisco, il casato Jarjayes è da sempre molto vicino alla Corona.”

Io ascolto questo scambio di battute tra te ed il Colonnello e sento un ricordo pizzicarmi il cervello riguardo l’erede dei Jarjayes, come mi capita da giorni, senza trovare uno sbocco…

Un rumore di passi veloci sulle scale che portano al porticato esterno dove ci troviamo tutti noi ci fa alzare lo sguardo in quella direzione.

Il primo pensiero è che una delle statue del parco abbia preso vita.

Ma è evidentemente una donna, anche se di così noi non ne avevamo mai viste.

I capelli biondi sono raccolti in una treccia morbida che gli serpeggia sulla spalla sinistra e sono fermati sulla fronte da una fascia con un motivo geometrico greco. Il vestito è una semplice tunica bianca, che lascia scoperte delle braccia così bianche e affusolate da ricordare il marmo rosa lucidato con la cera bianca. La vita è stretta da una cintura ampia di pelle e la gonna senza panier aderisce morbida alle lunghe gambe che scendono veloci le scale.

“André, possiamo andare via. Di più non resisto.”

Lo dice concentrandosi bene sugli scalini e sui suoi passi, ma arrivata alla fine delle scale alza lo sguardo su André e vede anche noi. E ha due occhi così azzurri da brillare nel buio.

“Certo, possiamo andare via.” Il mio nuovo amico Grandier parla alla statua vivente con scioltezza, come se per lui una cosa simile sia una visione di tutti i giorni.

Ma lei guarda verso di noi, così Grandier, che evidentemente conosce le regole dell’etichetta che noi poveracci ignoriamo, si occupa delle presentazioni.

“Ti presento il Colonnello D’Agout, della Guardia Metropolitana. I ragazzi qui hanno trovato il portafogli con i documenti che avevo smarrito e sono stati così gentili da portarmeli. Colonnello D’Agout, le presento il Generale di Brigata Oscar François de Jarjayes.”

Il povero Colonnello Testa di Legno ha un momento di empasse, ma è un nobile e si riprende subito, stringendo la mano che la statua vivente gli porge proprio per farsela stringere e non a dorso in su per il baciamano.

Noi restiamo sconvolti qualche secondo di più. Poi un lampo mi attraversa la mente, e il ricordo che mi prude nel cervello da giorni prende finalmente forma.

“Colonnello D’Agout, è un piacere fare la sua conoscenza. E ringrazio i suoi uomini per aver riportato i documenti al mio attendente.” Questo lo dice guardandoci direttamente, poi a parte si rivolge a te. “Poi mi devi spiegare questa storia dei documenti di cui non sapevo nulla.” Lo dice mantenendo il sorriso formale che ci aveva rivolto, ma io avverto una sorta di scherzosa minaccia. Infatti ti vedo irrigidirti come uno colto in fallo, caro il mio Grandier.

“Dovere, Generale di Brigata. E ditemi, la festa per il compleanno di Sua Maestà la Regina Antonietta si è già conclusa?”

“Oh no, è appena iniziata. Ma io ho già raggiunto e superato il mio livello di sopportazione, così me ne vado.”

Il Colonnello la guarda con curiosità. “Capisco. Nemmeno mia moglie si sente a suo agio in questi eventi mondani. Per caso avete avuto modo di vederla?”

“La marchesa D’Agout? Sì, l’ho vista. Abbiamo scambiato qualche parola e devo dire che mi è sembrata una delle poche donne dotate di cervello lì dentro.”

Vedo il Grandier dare un colpo di tosse finto fissando la dea Generale di Brigata e vedo passare negli occhi di lei un lampo di comprensione. “Beh, questo secondo il mio pensiero; non volevo insultare nessuno.” Lo dice, ma si vede che non lo pensa. Il Grandier nasconde un sorriso dietro il pugno nel quale prima aveva tossito. Al Colonnello scappa una breve risata sincera e aperta. “Generale di Brigata Jarjayes, non temete; non riferirò a nessuno questo nostro scambio di battute! Anche perché, sempre detto entre nous, la penso esattamente come voi.”

Ed i due si sorridono. Anzi, i tre, includendo il Grandier, che sembra far parte del loro gruppo e non del nostro.

Poi una voce imperiosa in cima alle scale. “Oscar! Dove sei finita? Torna immediatamente nella sala!”

Il sorriso della dea muore sulle sue labbra. “Mio padre” sussurra all’indirizzo del Grandier, che risponde: “La carrozza è alla fine del porticato.”

“Perdonatemi Colonnello; è stato un piacere parlare con voi, ma ora devo proprio scappare.”

“Vi accompagniamo alla vostra carrozza.”

Ma è difficile stare dietro alla dea ed al suo attendente.

Lei correndo fa un passo falso e per sorreggersi si appoggia alla spalla del Grandier. In un modo che di femminile non ha proprio nulla, ma di una sensualità sconvolgente, si sfila entrambe le scarpe, le lancia verso la siepe al grido di: “Maledetti strumenti di tortura!” e prosegue la sua corsa scalza, sul marmo del porticato, fino alla carrozza, in un turbine di gonne bianche e capelli biondi. Grandier apre veloce la portiera e la aiuta a salire tendendole la mano, sale a cassetta, frusta i cavalli e partono al galoppo.

Alle nostre spalle compare quello che deve per forza essere il Generale Jarjayes. “Voi dovete essere il Colonnello D’Agout della Guardia Metropolitana.” E non suona come una domanda.

“È esatto, Generale Jarjayes.”

“Avete visto passare mia figlia Oscar?”

Ora, potremmo stare qui a disquisire fino a domattina sulla formula mia figlia Oscar, ma il Colonnello è un signore. E lo dimostra una volta di più.

“Mi dispiace, signor Generale, ma da qui non abbiamo visto passare sua figlia. Se dovesse accadere sarà mia premura avvisarla del fatto che la state cercando.”

Lo dice con la faccia più sincera del mondo ed il vecchio parruccone abbocca con tutta la lenza.

“La ringrazio, Colonnello.” Gira i tacchi e se ne torna da dove era arrivato.

Cazzo di serata.

E non è ancora finita.

*

Continuiamo la nostra ronda in silenzio per un po’. Poi Lazare trova una scarpa al bordo di un’aiuola. Come diamine fanno le donne a camminare con quei cosi ai piedi? Beh, evidentemente alcune non ci riescono proprio.

“Colonnello D’Agout, voi eravate a conoscenza della storia dell’erede del casato Jarjayes?”

Un sospiro. “Sì, nel nostro ambiente tutti conoscono la storia. Ai tempi fece clamore. Credo anche di aver visto il Generale di Brigata in alcune occasioni, ma non avevo mai avuto modo di parlargli. E di certo non lo avevo… la avevo mai vista con altre vesti al di fuori dell’uniforme.”

“Io mi sono ricordato di una cosa. Quando entrai all’Ecole Militaire tutti parlavano del tizio all’ultimo anno. Era il migliore di tutti con la spada. Ma era una femmina. Solo che chi provava a ricordarglielo si beccava una lezione che gli faceva passare ogni voglia di prenderla in giro. Però era l’unico allievo che aveva avuto il permesso di portarsi l’attendente. Io ricordo di averli visti, nel 1768; avevo visto sia Oscar de Jarjayes che André Grandier. Ma non ci eravamo mai parlati. Io ero solo un primino e non potevo nemmeno avvicinarli quelli dell’ultimo anno, tantomeno la Jarjayes, che comunque non parlava con nessuno.”

François e gli altri ragazzini mi hanno prestato attenzione come bambini che ascoltano la favola della buonanotte. Lazare ha ancora in mano la scarpa.

*

“Credi che mio padre ci abbia visti?” mi parli direttamente visto che hai scelto la carrozza aperta sul davanti; così non ci sono muri tra te e me.

(N.d.A. Lo so che il compleanno di Marietta cade il 2 novembre e che quindi si suppone che faccia troppo freddo per girare con una tunica, a piedi scalzi e su una carrozza aperta, ma concedetemi la licenza letteraria ;))

“No, siamo stati veloci. Soprattutto dopo che ti sei liberata delle scarpe!”

“È stato un gesto inevitabile, ahah!”

Mi giro a guardarti e sì, stai sorridendo davvero.

“Senti, cos’è questa storia dei documenti persi?”

Ouch! Speravo non te ne ricordassi, ma sapevo che era una speranza vana.

“Bah, niente di che. Ero andato a bere a Parigi, e ho alzato un po’ il gomito con quei soldati. Quando sono tornato a casa mi sono reso conto di non avere più i documenti. Li avrei cercati dopo aver archiviato questa serata, ma per fortuna è tutto risolto.”

Resti in silenzio fino casa.

Apro lo sportello della carrozza e ti offro il braccio. Ma questa volta lo rifiuti. Salti a terra e sali di corsa le scale fino alla porta d’ingresso.

Dopo essere rimasto interdetto per qualche istante ti seguo e ti raggiungo nell’ingresso. Tu hai già un piede sulla scala che porta al primo piano, alla tua stanza. D’istinto ti afferro un braccio. “Oscar, che problema c’è? Sembravi così di buon umore, poco fa…” Tu ti divincoli, e riprendi a salire.

Sento chiudere la tua porta.

*

Entro nella mia stanza e mi appoggio di schiena alla porta. Poi decido ed esco.

*

Busso alla tua porta. Tu non rispondi. Io entro lo stesso.

Sei seduta sul tappeto di fronte al camino che mia nonna ha avuto la premura di lasciarti accesso.

Mi siedo al tuo fianco.

Nessuna reazione.

“Dimmi qual è il problema.”

Silenzio.

Il crepitio del legno avvolto dalle fiamme. Le luci e le ombre che giocano sul tuo volto. I tuoi occhi che riflettono e moltiplicano le scintille del fuoco.

“Una volta ci andavamo insieme a Parigi per ubriacarci.”

“Già. Una volta. Poi tu hai scatenato una rissa da cui siamo usciti con le nostre gambe per miracolo. E poi… uno di quei bifolchi aveva iniziato ad avere il sospetto che tu fossi una donna e… no, è un rischio troppo grosso.” Abbasso lo sguardo pensando a quella notte stellata in cui hai rischiato che il tuo segreto venisse svelato, cercando di cacciare dalla mia mente le possibili, atroci conseguenze.

Con la coda dell’occhio vedo irrigidirti. Il tuo volto si arrossa, e non è solo per il fuoco. Lo so, non hai mai pensato di poter rischiare in questo modo la tua incolumità di donna. Tu sei forte, sei la migliore con la spada e sai difenderti in un regolare scontro. Ma contro la malvagità di alcuni uomini sei indifesa. Forse te ne rendi conto solo adesso e mi dispiace di essere stato io a farti comprendere questo pericolo, ma se ti capitasse qualcosa io ne morirei e allora preferisco spaventarti e metterti in guardia.

“Quella notte mi hai portato a casa in braccio.”

Sorrido. “Già. Ironia della sorte, mi avevano rubato il portafogli e non potevo fermare una carrozza.”

“Quella notte mi hai baciata.”

Lo dici continuando a fissare le fiamme e io resto di sasso. Ero convinto che fossi svenuta. Te ne eri accorta? E non hai mai detto nulla?

“Perché?”

Resto a testa bassa, a fissarmi le mani in grembo. “Lo sai il perché.”

Silenzio.

Il crepitare delle fiamme.

“Potresti avere tutte le donne che vuoi. Me ne accorgo persino io.”

“Lo so.”

Silenzio.

Il crepitare delle fiamme.

“Ma voglio te.”

Silenzio.

Il crepitare delle fiamme.

“Sei uno stupido.”

Silenzio.

Il crepitare delle fiamme.

“Lo so.”

Silenzio.

Il crepitare delle fiamme.

Il frusciare dei tuoi capelli nel momento in cui appoggi la tua testa sulla mia spalla.

 

 

 

Fine

Moonia (mail to: monia.guredda@gmail.com)