ORIZZONTI

 

CAPITOLO 7 : Ospitalità

 

La crisi è passata. Andrè si è alzato ed ha aiutato Oscar a fare altrettanto. I tre intrusi restano muti. Oscar li guarda e dice: “Beh, visto che avete affrontato un così lungo viaggio, accomodatevi.”

Il quintetto entra in casa. Li accoglie il silenzio più assoluto. Non c’è veramente nessuno. Lo sapevano, il Generale e gli altri due, ma ora possono constatarlo. Ma quel silenzio non è vuoto… vi è una qualche eco… Capiscono che è collegata alla scena di prima, ma scacciano il pensiero.

“Signori, se volete seguirmi, vi accompagno nelle vostre stanze.” È Andrè che parla, portando sulla schiena una fascina di legna. “La sera fa ancora freddo, così ho pensato di accendere i camini nelle vostre stanze.” E così dicendo inizia a salire le scale diretto al piano con le camere da letto. I tre conti lo seguono in silenzio. Dal fondo delle scale parla Oscar: “Qui non abbiamo niente da mangiare, quindi tra poco usciamo per cenare alla locanda. Mettete il mantello, che la sera è ancora umida.”

Ed ora questa strana, mal assortita compagnia, passeggia in silenzio in direzione della locanda, alla luce del crepuscolo quasi estivo.

Se ognuno di loro avesse il coraggio di dare voce ai propri pensieri scoppierebbe la guerra. Ma tacciono. Tutti.

L’ingresso nella locanda accende un sorriso sincero sui volti di Oscar e Andrè mentre salutano l’oste che li accoglie con allegria, come tutti giorni da due mesi a quella parte. Poi il vecchio si accorge delle altre tre figure e: “Signor Generale! Ma che sorpresa! E che piacere rivedervi dopo tanti anni! Suppongo che i gentiluomini siano vostri ospiti; ma che onore! Accomodatevi, accomodatevi prego!” e così dicendo li guida ad un tavolo di legno, rotondo, proprio di fronte al camino acceso. Il Generale fa per sedersi alla sedia che da le spalle al camino, ma l’oste interviene: “Perdonatemi, signor Generale, ma quello è il posto di mademoiselle Oscar. Vede, le fa bene stare vicino al fuoco e…”

Il Generale capisce che anche l’oste è venuto a conoscenza delle condizioni di sua figlia prima di lui e con un rude “Capisco” lascia la sedia ad Oscar.

Ora i cinque sono tutti seduti, Oscar da le spalle al fuoco e questo le crea come un’aureola di luce intorno, soprattutto ai capelli, che sembrano intessuti di fuoco evanescente. Fersen e Girodel non possono fare a meno di fissarla. E anche il Generale. Mentre Andrè si guarda tranquillo intorno senza mai smettere di tenere d’occhio i tre conti.

“Qui si mangia davvero molto bene. Cibi semplici, ma che mi stanno aiutando a rimettermi in forze.” Oscar rompe il silenzio.

“E così, ehm, potete affermare di sentirvi meglio, mademoiselle?” Girodel trova finalmente il coraggio di parlare.

“Sì, posso affermare di stare decisamente meglio rispetto a quando sono arrivata qui due mesi fa. Probabilmente, vista la scena di poco fa sulla spiaggia, non mi crederete, ma vi assicuro che è così. Ormai simili crisi sono più che sporadiche. Dormo bene, mangio, faccio lunghe passeggiate e, insomma, mi impegno in altre attività salutari.”

La malizia nel sorriso di Oscar la vede solo Girodel? Possibile?

“Beh, sono felice di sentirvelo dire, Oscar. Posso solo augurarvi di guarire e di rimettervi completamente.” Fersen è sincero nel pronunciare queste parole, e Oscar lo ringrazia. Ma nota in lui anche uno strano sguardo, calcolatore, che non le piace.

“Quindi guarirai. Bene. Ma se riprenderai la vita di prima ti riammalerai, quindi…”

“Padre, mi dispiace interrompervi, ma ho già capito dove finirà il vostro discorso. Io guarirò e tornerò a comandare la Guardia Metropolitana. Non è solo la vita che voi avete scelto per me quando sono nata, è la vita che io scelgo ogni giorno, perché mi piace. Farò più attenzione, mangerò meglio e allenterò i turni, se necessario, ma questa è la vita che voglio fare. Perché la verità è che non sono mai stata invidiosa delle mie sorelle, di mia madre e nemmeno della regina Antonietta.”

Questa stoccata va dritta al cuore del Generale, di Fersen e di Girodel.

Sulla tavola arrivano la zuppa, l’arrosto e le verdure bollite, servite con giovialità dal vecchio oste e mangiate in un silenzio quasi assoluto dai cinque commensali.

“Era tutto squisito come al solito, Antoine.” Oscar fa dono di uno dei suoi rari sorrisi all’oste, che ne resta estasiato. “Mademoiselle, vedere che negli ultimi tempi non lasciate neanche una briciola nei piatti mi riempie di gioia. Magari stasera avete anche voglia di un dolce, per concludere il pasto?”

Oscar ci pensa un secondo, e poi: “Ma sì, un bel dolce fatto in casa! Per me va bene. E voi, signori?” Andrè annuisce con entusiasmo, contento del fatto che Oscar mangi con così buon appetito e gli altri tre accettano con minore fervore, ognuno assorto in pensieri e calcoli personali.

“Ottimo! Ci speravo che accettaste! Perché oggi ho avuto l’ispirazione per fare un dolce speciale: la torta di mele con gocce di cioccolato!” L’oste resta in silenzio in attesa della reazione di Oscar e Andrè, che non tarda ad arrivare. Sui loro volti si dipinge contemporaneamente un’espressione di stupore e gioia infantile.

“Non ci credo! Ve la ricordate ancora?” Oscar è raggiante.

“Ma certo, mademoiselle!”

Gli altri tre evidentemente non capiscono e l’oste si lancia in una spiegazione orgogliosa: “ Vedete signori, quando mademoiselle ed Andrè venivano qui da piccoli, io mi premuravo di fargli trovare sempre dei dolci appena fatti, che loro apprezzavano molto. Ma divenne presto chiaro che mademoiselle preferiva la torta al cioccolato, mentre Andrè amava quella di mele. Così iniziai fargli solo quelle due, alternativamente. Ma inevitabilmente, a turno, uno dei due restava deluso. Che fare? E poi ebbi l’idea! Preparai una torta di mele, a cui aggiunsi gocce di cioccolata. Quando la presentai a questi due rimasero così contenti che da allora gliela preparai per anni. E poi per anni non si sono visti, assorbiti dai loro compiti, e adesso… aspettavo solo il momento giusto per fare loro una sorpresa!”

“E c’è riuscito in pieno, Antoine!” Andrè sorride il sorriso del bambino che era, all’oste che l’ha visto crescere.

La torta viene servita. Il Generale, Girodel e Fersen ne mangiano una fetta ciascuno, con la forchetta, nel piatto. Oscar e Andrè si finiscono tutto il resto, mangiandola con le mani e senza smettere di sorridere.

Il viaggio di ritorno verso casa è silenzioso come e più del viaggio d’andata.

La casa è buia e silenziosa, ma le cinque stanze sono illuminate e riscaldate dal fuoco nei camini acceso da Andrè.

Si scambiano tutti la buonanotte e si ritirano nelle proprie stanze.

Andrè e Oscar si scambiano un veloce sguardo silenzioso; quella notte dovranno passarla separati, per la prima volta da due mesi.

Sdraiata sul suo letto Oscar riflette, furiosa. Deve dormire lontano da Andrè, suo padre si presenta per gestire la sua vita (di nuovo!) e Fersen e Girodel la guardano in un modo che non le piace per niente.

Andrè, sul suo letto, pensa anche lui agli sguardi dei conti Fersen e Girodel. Che Girodel fosse innamorato di Oscar lo sapeva, e non da quando l’aveva chiesta in sposa, ma da molti anni. Ma Fersen… Fersen che la guardava in quel modo… come se finalmente si fosse reso conto che Oscar è una donna… dio, gli dava i brividi. Ma più di tutti, ovviamente, lo preoccupava il Generale. Perché si era portato quei due appresso? Non certo per compagnia. Il Generale compiva ogni gesto solo dopo attenti calcoli. E l’unico calcolo che poteva esserci dietro un gesto del genere poteva solo portare… al matrimonio di Oscar…

Fersen, nel suo letto, pensava a tutto quello che aveva visto oggi. Oscar, pallida ma in maniera sensuale, sdraiata su quella chaise-longue, con i capelli mossi dal vento, ed il corpo coperto da una semplice camicia e da un paio di pantaloni. E la camicia mostrava forme mai viste prima. Forse non portava le fasce. Certo, per respirare meglio. Poi, Oscar che sorride nella locanda, avvolta dalla luce delle fiamme, ed infine Oscar che augura la buonanotte. Avrebbe potuto farsi augurare la buonanotte ed il buongiorno da lei ogni giorno se l’avesse sposata… Fersen scatta seduto sul letto. L’ha pensato veramente? Il cuore batte forte. Sì, l’ha pensato veramente. Il Generale sembra propendere per questa possibilità. E lui, lui avrebbe finalmente una moglie di alto lignaggio, bella e colta che renderebbe orgoglioso suo padre. E metterebbe a tacere le voci sulla sua relazione con la Reine de France. Che a quel punto ovviamente potrebbe proseguire con maggiore tranquillità. Sarebbe perfetto. Una bella moglie ed una bella amante. Fersen si addormenta col sorriso sulle labbra.

Girodel, le mani intrecciate dietro la nuca, fissa il soffitto sopra il suo letto. Ripensa a tutto quello che ha scoperto oggi. Oscar è malata di tisi. Ha rivelato il suo segreto, la sua debolezza, al servo. Sono partiti insieme per Arras. Leggono Rousseu sulla spiaggia. Mangiano allo stesso tavolo alla locanda. L’oste gli prepara la loro (la loro!) torta preferita. Si danno la buonanotte civilmente e si ritirano ognuno nella propria stanza. Ecco, questo particolare stona un po’ agli occhi attenti di Girodel. “E le precedenti 60 notti? Si sono detti buonanotte e basta?” Girodel scatta seduto sul letto, la testa tra le mani. “Se chiedessi di nuovo la sua mano, il Generale la obbligherebbe ad accettare, questa volta. Lei diventerebbe mia, mia moglie. Ma è questo che voglio..?”

Sdraiato nel suo letto, il Generale pensa che l’unico problema che gli resta da sistemare è decidere se accettare la proposta di matrimonio di Girodel o quella di Fersen.

È suonata la mezzanotte.

La casa è immersa nel silenzio.

Oscar esce dalla sua stanza ed entra in quella di Andrè.

 

Think I miss you forever

Like the stars miss the sun

In the morning sky

Nothing scares me anymore

 

CAPITOLO 13: Saluti

 

È l’alba.

Oscar si sveglia, ma lascia che Andrè continui a dormire.

È un suo problema, e lo deve risolvere lei.

Bussa piano alla porta di Fersen.

Dopo qualche secondo lui apre, visibilmente insonnolito.

Ma la vista di Oscar in camicia da notte lo sveglia.

“Oscar! A cosa devo…”

“Fersen, fatemi entrare.”

“Ma certo!”

Oscar entra e Fersen chiude la porta, continuando a fissarla.

Oscar si gira e lo guarda dritto negli occhi; quello che vede nello sguardo dello svedese non la sorprende, se lo aspettava, ma la disgusta comunque. Lui si aspetta che lei si butti sul suo letto, per farsi aggiungere alla lista di donne da lui castigate. Oh, come si sbaglia!

“Smettetela immediatamente di fissarmi in quel modo, Fersen.”

“Quale modo, mademoiselle Oscar?”

Oh, ci mancava che pure lui si mettesse a chiamarla mademoiselle, dopo vent’anni di Oscar è il mio migliore amico!

“Basta Oscar, Fersen. Le debbo parlare.”

“Vi ascolto.” Così dicendo, Fersen si siede sul letto. Oscar resta ostinatamente in piedi al centro della stanza. Certo, così deve subire i suoi sguardi lascivi, ma se aspetta che lei si sieda sul letto con lui…

“Fersen, non crediate che non capisca cosa state macchinando.”

“Cosa sto macchinando?” e sfodera il suo sorriso acchiappa-passere.

Dio, come ho fatto a sentirmi attratta da questo soggetto per anni?!?” Oscar non può evitare di provare fastidio e rabbia nei confronti di se stessa. E tristezza e senso di colpa nei confronti di Andrè…

Un respiro profondo e: “Fersen, se a tutto ciò aggiungete anche questo tono condiscendente, come se steste parlando con una povera deficiente, non fate che peggiorare la vostra situazione.”

Il ghiaccio nel tono di Oscar scrosta un po’ di sicurezza dall’ego di Fersen, ma lui cala l’asso. “Oscar, voi avete indossato un vestito da sera per me. Un vestito che vi stava divinamente.” E sorride.

Male, molto male.

Oscar sente il volto in fiamme, ma prova a trattenersi.

Con un tono controllato riesce a dire: “Sì, è inutile negarlo. Per un certo periodo della mia vita ho creduto di provare qualcosa per voi. Ma mi sbagliavo.” Il punto alla fine della frase è un macigno.

Ma Fersen, troppo sicuro di sé, non lo nota, o se lo nota decide di ignorarlo. “Oscar, vi chiedo scusa se quella sera ho ferito i vostri sentimenti femminili. Sono stato stupido ed insensibile, e vi chiedo sinceramente perdono.” e così dicendo prende la mano di Oscar tra le sue. “Potete perdonarmi, mademoiselle Oscar?”

Oscar fissa quella faccia compiaciuta con uno sguardo talmente disgustato che farebbe ritirare qualsiasi uomo dotato di un minimo di buon senso. Ma su Fersen non funziona.

Oscar ritira bruscamente la sua mano, ma Fersen continua a fissarla e alza la posta; le cinge la vita con un braccio e prova ad attirarla a sé, verso il letto.

Lo schiaffo arriva, sonoro e carico di disprezzo.

Fersen la guarda sinceramente confuso.

“Fersen, questa sarà l’ultima frase che vi rivolgerò in vita mia, quindi provate a prestare attenzione. Io. Non. Vi. Sposerò. Né. Tantomeno. Diventerò. Una. Delle. Vostre. Amanti. Io non vi amo, non vi ho mai veramente amato e soprattutto non vi rispetto. Questo è un addio definitivo, conte di Fersen.”

La rabbia porta Oscar quasi a sibilare questa frase in faccia a Fersen che, con occhi sbarrati, la fissa e… “Andrete mica a letto col vostro servo?”

Potrebbe partire un altro schiaffo, ma Oscar si limita a guardare Fersen in maniera divertita e maliziosa. A pochi centimetri dalla sua faccia si limita a dire: “Sarete mica voi a scandalizzarvi per una cosa simile? Sarebbe quantomeno incoerente da parte vostra.”

Oscar si avvia alla porta, la apre e si gira un’ultima volta verso il nobile baltico. “Addio.”

Uscendo si imbatte in Girodel, che proprio in quel momento sta uscendo dalla sua stanza.

Girodel vede Oscar in camicia da notte uscire dalla stanza di Fersen e…

“Vi prevengo subito, conte Girodel. Sono entrata nella stanza del conte Fersen pochi minuti fa proprio per mettere in chiaro il fatto che non ho nessuna, e sottolineo nessuna, intenzione di sposarlo. Stavo per passare da voi per fornirvi la medesima spiegazione. Con l’unica differenza che almeno nei vostri confronti nutro del rispetto.”

Tutto questo viene detto mentre la porta di Fersen è ancora aperta e lui fissa i due in corridoio con un’espressione che sarebbe comica se non fosse patetica.

Oscar, con ancora la mani sulla maniglia della porta dietro di sé, conclude il concetto: “Conte Girodel, nel vostro caso vi prego di credere che non si tratta di un’offesa personale, ma non ho nessuna intenzione di sposare nemmeno voi. Né nessun altro nobile dovesse avere questa brillante idea. Mio padre potrà urlare, minacciarmi, picchiarmi, diseredarmi, ma io non cambierò idea.”

Silenzio.

“Mademoiselle Oscar… io vi amo. Vi prego di crederlo. E non forzerò in alcun modo la vostra volontà.”

Silenzio.

“Vi ringrazio dal profondo del cuore, Girodel. Sapevo che voi avreste capito e rispettato la mia volontà.”

Oscar e Girodel si scambiano uno sguardo pieno di significato, uno sguardo che Girodel porterà per sempre marchiato a fuoco nel suo cuore. Oscar chiude la porta di Fersen dietro di sé senza degnarlo nemmeno di un’ultima occhiata.

Dietro la porta della sua camera, Andrè ha sentito tutto.

CAPITOLO 14: Ritorni

I cinque fanno colazione alla locanda.

Se la cena era stata silenziosa, la colazione permette di sentire i rumori della masticazione.

Finita la tortura, i tre ospiti si avviano ai cavalli per ripartire. Girodel si affianca ad Oscar. “Mademoiselle, parlerò con vostro padre. Ritirerò la mia proposta di matrimonio e proverò a convincerlo a cambiare idea sull’argomento.”

“Vi ringrazio di cuore, Girodel.” Lo sguardo di Oscar è pieno di sincera gratitudine e rispetto. “Vi supplico mademoiselle, non guardatemi così, o renderete vani i miei sforzi.” C’è una profonda sofferenza negli occhi e nella voce di Girodel. Oscar non può non sentirsene colpita. Abbassa lo sguardo. “Grazie Girodel. Grazie e… perdonatemi.” “Non avete nulla da farvi perdonare, mademoiselle Oscar. Io… vi auguro di essere felice.”

Così dicendo sale a cavallo.

Il Generale, Fersen e Girodel se ne vanno.

“Ho sentito quello che hai detto a Girodel e a Fersen questa mattina.”

“Scusami Andrè, non volevo svegliarti.”

Andrè l’abbraccia e le bacia i capelli.

*

È il 30 giugno, ed il dottor Lassonne torna per la terza visita.

Oscar si riveste. E attende.

Silenzio, mentre il dottore ripone i suoi strumenti nella valigetta.

Un sospiro e: “Direi che la malattia è in remissione.”

Silenzio.

“Dottore… io mi sento meglio, davvero… anche voi lo confermate, quindi?”

“Mademoiselle Oscar, ho parlato di remissione. Siete guarita per il momento. Ma il vostro fisico è stato seriamente provato. Una ricaduta è dietro l’angolo.”

“Ma posso tornare a lavoro, se prometto di fare più attenzione? Mangerò meglio e non toccherò più un goccio d’alcol…”

“Questo è il minimo. Ma sì, se promettete di continuare a riguardarvi, potete tornare a lavoro. Conoscendovi, ritengo che l’inattività vi farebbe più male che bene…”

Oscar abbraccia il dottore. Non l’aveva mai fatto, nemmeno da bambina. Lassonne ne è sinceramente commosso e l’abbraccia a sua volta, per la prima volta in 33 anni. Quella bambina forte e fragile che l’aveva sempre affascinato.

*

“Soldati della Guardia! Salutate il ritorno del Comandante!” la voce di Alain de Soisson risuona nella piazza d’armi ed i soldati scattano sull’attenti all’arrivo di Oscar.

Lei non se lo aspettava e per qualche istante li fissa senza reagire, impegnata a contenere l’emozione che la vista dei suoi soldati, schierati tutti di fronte a lei e che le sorridono come vecchi amici le causa. Poi si riscuote e: “ Ragazzi, vi ringrazio. Sono veramente felice di rivedervi.” E sorride, sorride radiosa a quegli uomini rudi che l’hanno rinnegata, umiliata, sfidata, picchiata e che ora le sorridono e la rispettano, disposti a rischiare tutto per lei.

“Alain, com’è la situazione a Parigi?”

“Pessima, comandante. La regina ha avuto la brillante idea di far giungere in città ben 15 reggimenti, tra cui quei bastardi dei Royal Allemande. Quelli non fanno che picchiare i parigini. Ma i cittadini reagiscono. E si stanno armando. La situazione sta precipitando, Comandante.”

Oscar ascolta in silenzio le parole di Alain. Ha appena vinto una battaglia, ma a quanto pare la guerra deve ancora iniziare.

Si va dritti a casa senza più pensare
che la guerra è bella
anche se fa male,
che torneremo ancora a cantare
e a farci fare l'amore

  

CAPITOLO 15: Rivoluzioni

“Scrivo queste note la mattina del 12 luglio 1789. L’alba che sta nascendo forse porterà altri disordini e nuove violenze.”

*

“Una volta vi ho detto che il cuore è libero. Aggiungo che un uomo deve essere libero dalla testa ai piedi!”

*

“È la battaglia per la libertà!”

*

“Diventeremo gli eroi senza nome della patria!”

*

“Andrè, dopo questa battaglia ci sposiamo.”

*

“Il mio nome è Oscar François. Ora io non ho più né grado né titolo.”

*

“Ma ormai tutti sapevano dei 50 soldati della Guardia ribelli comandati da Oscar François.”

*

“Signor Generale! Una notizia incredibile da Parigi! Monsieur Oscar ha tradito ed è passato dalla parte dei ribelli!”

“Non ti perdonerò mai, Oscar! Mai!”

*

“Oscar, bentornata a te e ai tuoi soldati.”

“Grazie Bernard.”

*

“Mi dispiace averti convocato a notte fonda Oscar, ma dobbiamo discutere di una questione estremamente grave. I cannoni della Bastiglia sono stati puntati verso Parigi e verso i parigini. Si sta diffondendo la voce secondo cui attaccheremo la fortezza domattina.”

“Io ed i miei soldati saremo con voi, Bernard.”

*

“Puntate alla parte alta della fortezza!”

“Fuocooo!!!”

*

“Comandante guardate! La Bastiglia ha issato bandiera bianca!”

*

“Oscar, abbiamo dato tutto quello che potevamo dare. Ora dobbiamo andare.”

Tra due minuti
è quasi giorno,
è quasi casa,
è quasi amore.

 

CAPITOLO 16: Casa

Giugno 1794.

Qualcuno bussa alla porta. Una delle poche cameriere rimaste va ad aprire.

“Conte Girodel! Siete qui per vedere il Generale?”

“Perché, chi altri è rimasto in questa casa?” il tono di Girodel non vuole essere acido. Sta semplicemente constatando un dato di fatto. Certo, la contessa Jarjayes è ancora viva, ma vive completamente ritirata nelle sue stanze da anni. Da 5 anni. Mentre invece la governante… beh, lei non ha retto alla notizia del tradimento e della sparizione dei suoi due bambini. Poverina.

“Signor Generale, il conte Girodel è venuto a farle visita.”

Il Generale, seduto in poltrona con la pipa tra le labbra, non da segno di aver sentito, ma la cameriera introduce l’ospite nel salotto.

Dio come è invecchiato. Ed io? Io non sono invecchiato? Certo che sì. Gli anni passano per tutti. Questi ultimi 5 anni poi sono sembrati infiniti…”

“Generale Jarjayes, sono venuto a farvi visita.”

Silenzio.

Le labbra si muovono intorno alla pipa. “Non avremmo dovuto lasciare che andassero da soli… Fersen avrebbe dovuto accompagnarli fino a Varennes, dal generale Bouillè… e Bouillè avrebbe dovuto andare Loro incontro… e se Oscar avesse parlato con Sua Maestà la regina l’avrebbe di certo convinta a fuggire dalla Conciergerie… sì, così può funzionare… così funzionerà..!”

Girodel è atterrito. Quell’uomo, una volta così fiero, è ora ridotto all’ombra di se stesso. Un qualunque vecchio che blatera nei sanatori. Che pena.

“Signor Generale… ormai… è tutto compiuto. Le Loro Maestà sono state ghigliottinate e…”

“E Oscar dov’era? La sicurezza dei regnanti di Francia ara affidata a lui!”

“Conte Girodel, vi ringrazio per la sua cortese visita, ma come può constatare mio marito non è più in grado di sostenere una conversazione.” La contessa Jarjayes è entrata nel salotto, silenziosa come un refolo d’aria. Anche lei è invecchiata, ovviamente, ma a differenza del marito mantiene intatta tutta la sua grazia nella dignità. Gli occhi esprimono un dolore senza fine, ma lei lo accetta, non lo nega. Ed è questo che la salva.

Girodel si inchina profondamente di fronte a quella donna sfiorita. “Madame Jarjayes, sono lieto di rivedervi.”

Si guardano, a lungo, e la comprensione passa tra di loro.

“No conte Girodel. Non abbiamo mai avuto notizie di Oscar. I soldati di mio marito, durante una perlustrazione da lui ordinata dopo la presa della Bastiglia, hanno trovato in un vicolo l’uniforme di mia figlia, con tutte le sue medaglie e qualche macchia di sangue. Ma il suo nome non è mai comparso. Da nessuna parte.” Gli occhi della donna sono lucidi, la voce incrinata, ma la testa è eretta. Ecco da chi Oscar ha realmente preso il suo carattere fiero. Che sciocchi tutti quanti a pensare per anni che fosse il ritratto del padre.

“Ecco Madame, io stavo giusto pensando che Oscar François de Jarjayes non esiste più. Ma non è detto che sia morta.”

“Conte, so che avete amato mia figlia, e per questo mi siete caro, ma la speranza può fare più danni della disperazione, mi creda. Guardi mio marito.”

Silenzio.

“Madame, avete sempre cercato tracce di Oscar François de Jarjayes… ma non avete mai pensato a cercare tracce di Andrè Grandier.”

Silenzio. Un silenzio carico di comprensione. E di senso di colpa.

La mano della contessa sale a coprire le labbra, da cui sfugge comunque un lamento soffocato.

“Contessa, Generale, io oggi sono venuto qui per chiedervi di partire con me. Vado a vivere in Inghilterra. Avrei dovuto farlo anni fa, ma il senso del dovere nei confronti della Corona e la speranza di ritrovare lei mi hanno trattenuto. Ora che il re e la regina non ci sono più voglio partire e sfruttare l’ultima possibilità che ho per scoprire se lei è viva. Ho bisogno di saperlo per continuare a vivere.”

“Cosa avete in mente, Girodel?” questa volta è il Generale a parlare. Sembra parzialmente tornato in possesso delle proprie facoltà.

“Signor Generale, prima di imbarcarci per l’Inghilterra potremmo fare una deviazione per la città di Arras.”

Silenzio.

“Quello che pensate è assurdo, conte Girodel.”

“È assurdo che voi continuiate a negare l’evidenza, signor Generale.”

“Mio figlio è un nobile, fedele servitore della Corona di Francia!” così dicendo il Generale si alza rovesciando la sedia su cui era seduto.

“Con tutto il rispetto, signor Generale, ma vostra figlia ha combattuto con i ribelli, ha partecipato alla presa della Bastiglia ed è sempre stata innamorata del suo servo.”

È troppo. Il Generale avanza minaccioso verso Girodel. La contessa si interpone tra i due. “Basta Renyer. Basta.” La voce è sottile, ma ferma. È un ordine. “Ora noi tre partiremo per l’Inghilterra. Ma prima passeremo per Arras. Voglio sapere se mia figlia è ancora viva, prima di morire.” Inevitabilmente, una lacrima scivola sul volto di Marguerite.

*

L’orizzonte è sconfinato.

Il cielo è azzurro e il calore di quell’azzurro è accentuato da alcune nuvole alte ed incredibilmente bianche.

Il verde è brillante e rigoglioso.

Una carrozza semplice, senza stemmi, si ferma nei pressi del terreno che si estende alle spalle della semplice villa di campagna, di fronte alla quale si trova un lago dalle acque tranquille.

Un uomo sta in piedi su una scala appoggiato ad un albero di mele. Coglie i frutti rossi e succosi e li passa a qualcuno che sta ai piedi dell’albero e che sistema il frutto colto in una delle ceste che circondano le sue gambette. L’aiutante è una bimba di circa 4 anni, che sorride all’uomo in cima alla scala. Lui le parla e le spiega i cicli della natura, e di come vadano sempre rispettati. Lei lo ascolta attenta e lo osserva con i suoi splendidi occhi verde smeraldo, mentre un piacevole refolo d’aria le scompiglia i capelli biondi e ribelli.

Le tre persone nella carrozza osservano la scena.

Ora un nuovo personaggio entra in scena.

È una donna alta, magra e flessuosa, con un semplice vestito celeste, le braccia scoperte, i lunghi capelli biondi raccolti in una morbida treccia che le scende sulla spalla sinistra ed uno sguardo così azzurro da risultare perfettamente visibile e riconoscibile anche dai tre spettatori nella carrozza. Anche se forse quello sguardo non è poi così riconoscibile per loro; loro non hanno mai visto quella serenità, quell’amore sprigionarsi dai severi occhi del fu Comandante Oscar François de Jarjayes.

“Andrè, Genévieve, come procede la raccolta delle mele?” il tono nella sua voce rivela un sorriso.

“Va tutto benissimo, mamma! Papà mi sta anche insegnando tante cose interessanti.”

L’uomo sull’albero e la donna nel campo si guardano. E sorridono.

“Mamma, l’anno prossimo potrò andare anch’io alla scuola del paese dove insegnate tu e papà, vero?”

“Sì Genévieve, la mattina andremo a scuola tutti e tre insieme.”

“Ma non ti aspettare trattamenti di favore, signorinella!” così dicendo l’uomo lancia un’altra mela che la bambina afferra al volo.

“Françoise, vorresti dare un morso a questa mela?”

“Perché no!”

L’uomo lancia la mela rossa, che compie una parabola perfetta ed atterra tra le mani della donna che le da un morso soddisfatta.

“Cocchiere, possiamo andare.” Madame Jarjayes ed il conte si Girodel si guardano. E sorridono.

La famiglia Grandier siede vicina, all’ombra dell’albero di mele.

 

Tu eri nel centro del mio cuore,
perciò quando il mio cuore vagava
non riuscì mai a trovarti;
ti sei nascosto ai miei amori e speranze
fino all’ultimo, perché fosti sempre in essi.
Tu eri la gioia più profonda
nel gioco della mia giovinezza,
e quando fui troppo occupato dal gioco,
la gioia era passata.
Tu cantavi nelle estasi della mia vita,
e io dimenticai di cantare per te.

 

Fine

Moonia (mail to: monia.guredda@gmail.com)