Rileggendo la ff, mi rendo conto che i toni sono alquanto drammatici, o forse è meglio dire pessimisti….Ma non so davvero quali altri pensieri potesse formulare e quali altre sensazioni potesse provare una condannata a morte…Come personaggio storico Antonietta mi è sempre piaciuta molto, nonostante i suoi sbagli ed i suoi errori…In questo racconto ho parlato del rapporto, breve ma intenso, che si è instaurato tra Rosalie e la – ormai non più – regina di Francia, prima che quest’ultima venga portata al patibolo…La donna vive attraverso i suoi ricordi e fa rivivere nelle sue parole gli splendori di Versailles e le spensierate giornate trascorse con i suoi più cari amici – in particolar modo Oscar...
Magda
LE MURA DELLA CONCIERGERIE
Parte Seconda
Si asciugò le ultime
lacrime.
Bernard non era in casa, così era rimasta a condividere quel dolore non ben
definito assieme al suo bambino che dormiva nel grande letto.
Il sorriso di François dipinto sul suo visetto così angelico la rasserenò un
po’, ma non le riuscì così facile calmare quella sensazione di agitazione e
sofferenza che le scorreva nelle vene.
Parigi aveva festeggiato in quei giorni, la morte della donna più importante di
Francia; però non aveva visto gioia negli occhi della gente. No. Era più un cupo
senso di morte e di violenza, le facce scure dei parigini rivelavano ansia e
timore, la lucida capacità, la lucida follia di distruggersi con le proprie
mani[1] e costruire la Nuova Era sull’odio e sulle macerie della corte di
Versailles.
Si voltò a guardare l’oggetto bianco e delicato che riposava sul suo comò.
Si sorprese a ripensare agli ultimi giorni con lei in quella prigione scura.
Aveva voluto che le raccontasse ogni cosa di lei. Come avesse conosciuto Oscar,
come fossero state le ultime ore con lei, come fosse la sua vita ora. Se Parigi
vivesse meglio, da quando era caduta la monarchia. “Così” – spiegò – “almeno non
mi sembrerà troppo vana la mia vita. E la mia morte”.
Le raccontò tutto. O quasi. Le disse di aver vissuto per anni in una casa
povera, con una madre che non era la sua. Poi le era stato rivelato di essere
figlia di una nobile. Le dissero che tutto quanto era stato sino ad allora era
stata una farsa, una recita; che non c’è nulla di vero a questo mondo.
Poi sulla sua strada era finita Oscar. Così buona, così leale, così onesta, così
decisa. Oscar. L’aveva accolta e le aveva voluto bene come ad una sorella. Non
c’era altra spiegazione. Era tutto così. Semplice.
Le aveva risparmiato il particolare per il quale lei era sorella della stessa
Jeanne Valois che con i suoi inganni e le sue menzogne aveva contribuito alla
fine del suo destino di regina.
E le aveva risparmiato anche la verità sulla sua vera madre; le aveva detto che
era una nobildonna decaduta, morta prima che lei potesse conoscerla e chiamarla
“mamma”. Voleva che serbasse un dolce ricordo delle persone che aveva ritenuto
importanti nella sua adolescenza a Versailles; non voleva che scoprisse quanto
fosse crudele ed ipocrita l’animo della sua amata contessa di Polignac.
Che almeno i ricordi potessero accompagnarla, sorridenti e gentili negli ultimi
istanti della sua vita.
Quel mattino di ottobre fu l’ultimo in cui poté andarla a trovare, portarle gli
stracci e le vesti per farla cambiare, prendere quelle sporche che lei infilava
in una grande crepa nel muro, e sorriderle, ricordare il passato e parlare del
presente, e quanto costa il pane, cosa faccio quando piange il mio bambino, mio
marito è sempre stanco ultimamente, povero, lavora troppo.
Così Antonietta le sorrideva ed annuiva con fare materno, le dava consigli e si
stupiva di quanto cambiassero le cose là fuori.
Quel mattino fu l’ultimo in cui poté andarla a trovare. Perché in seguito, se
pure si fosse recata nella stessa cella buia della Conciergerie, non ci sarebbe
stato più nessuno.
Quel mattino si recò a salutarla. Fu l’ultimo. Le pettinò piangendo i capelli
mentre lei si scrutava con un sorriso amaro allo specchio.
- Non piangete Rosalie…
- Oh, Madame…!
- Non fate così…Vi prego…
- Perdonatemi, non vi sono d’aiuto…
- Oh no, tutt’altro Rosalie…siete l’unica a mostrarmi ancora affetto, sapete?
L’unica…E’ bello morire così, sapendo che qualcuno soffrirà se te ne vai…
- Io…
- Vi prego solo di una cosa…se riusciste ad avere notizie dei miei figli,
attraverso vostro marito, se riusciste a vederli….in un luogo diverso da quel
maledetto tribunale in cui hanno obbligato Chou d’Amour[2] a dire cose false di
me…date loro un bacio ciascuno da parte mia…E dite loro…che li ho molto amati…
- Sì Madame, lo farò… - Piangeva di nuovo.
Non riusciva nemmeno a sistemarle i capelli. Le tremavano le mani ed il pettine
oscillava nervosamente tra le sue dita deboli. Ma a cosa serviva sistemarglieli
quei capelli, se le sarebbero stati recisi? Come la sua testa, come le sue
speranze ed i suoi antichi sogni di bambina su quel patibolo che se la portava
via, assieme a tanti altri, colpevoli o innocenti, non risparmiati dalla lama
del boia.
- Rosalie, ho due cose per voi.
- Uh?
La guardò sorpresa ed incuriosita e per un attimo la tristezza che aveva nel
cuore divenne meno dilagante.
- Ecco, tenete.
Le porse un ricamo. Un angioletto grassoccio e roseo, splendidamente realizzato,
che teneva tra le mani un cesto di fiori[3]. Il tessuto sul quale era ricamato
non era di grande qualità, ma quell’amorino dolce e gioviale lo rendeva simile
ad un prezioso scampolo di seta.
- L’ho realizzato con l’occorrente per cucire che mi avevate portato voi. E’
stato un modo utile di impiegare il mio tempo vuoto qui…
- Grazie Madame…E’ bellissimo…Non so che dire…
- Non dite nulla…Sono felice che vi sia piaciuto.
La porta. Quella maledettissima porta aperta sempre al momento meno opportuno.
Questo, meno di tutti. Le due donne si voltarono entrambe incredule verso il
gendarme e per la prima volta Rosalie lesse la vera paura e la vera disperazione
negli occhi della regina, sino ad allora nascoste dalla dignità, dal conforto
dei ricordi e dall’attesa.
Era venuto per portarla via. Per accompagnarla a morire. E quell’uomo non le
voleva bene, non l’avrebbe consegnato alla donna con la falce ed il vestito nero
con amore, con le lacrime agli occhi, stringendole la mano. L’avrebbe spinta
senza garbo, legandole le mani dietro la schiena, l’avrebbe fatta condurre da un
vecchio carretto sgangherato lei, che aveva viaggiato in carrozze d’oro e di
vetro.
- E’ ora di andare, Madame.
La voce dell’uomo ironica e sprezzante.
Gli occhi di Antonietta si dilatarono.
- E’ ora di andare, per me, adesso. Però…però prima devo darvi questa.
Una rosa. Le porse una rosa di stoffa bianca.
- L’ho realizzata con dei piccoli scampoli di tessuto che ho trovato in giro per
la cella. È per Oscar. Vi prego, dipingetela per me col colore di cui Oscar
preferiva le rose, io purtroppo non lo conosco. E poi portatela alla sua tomba.
Recitate per me una preghiera ad Oscar e Andrè.
Rosalie annuì, ed in quel momento non realizzò di essere anche lei all’oscuro
del colore preferito da Oscar per le rose. Seppur l’avesse ricordato, comunque,
non l’avrebbe rivelato alla povera donna che guardava verso di lei protendendo
in avanti le mani scarne le cui dita stringevano con impeto quella sua pura
rosa, quasi a volersi aggrappare a lei per sfuggire al suo destino. Le sembrava
un’eresia, in un momento del genere.
- E…Rosalie, vi auguro di essere felice. Ve lo auguro di tutto cuore, siete una
cara giovane, la vita vi sorriderà.
- Oh…oh…
Non riuscì a trattenersi. L’abbracciò di nuovo con calore. Voleva farle sentire
che le sarebbe mancata. Era l’ultimo gesto affettuoso, per poi “mandarla serena
a morire”.
- Maestà – Le sussurrò, per non farsi udire dalla guardia – Maestà, io non
dimenticherò, mai. Mai.
Un silenzio sincero. Un sorriso tra le lacrime.
- Allora, ci vogliamo sbrigare?
Di nuovo quel gendarme senza cuore.
La regina le strinse ancora le mani qualche attimo, la guardò con gli occhi
brillanti di lacrime, di paura, di gioia.
- Grazie Rosalie, grazie. Chissà, forse un giorno…ci rivedremo.
La
sentinella l’allontanò con stizza e lei lo fulminò con lo sguardo. Piangeva
ancora, questo era vero, ma l’espressione dei suoi occhi nel guardarlo fu del
tutto diversa da quella con cui aveva scrutato gli occhi buoni di Rosalie; non
era più addolorata, tenera, confortata dalla stessa sofferenza e dal ricordo di
passati splendori tra la Galleria degli Specchi e la sala dei ricevimenti a
Versailles. In quei giardini dove non crescono più rose…
No. Era uno sguardo…fermo, di disprezzo nei confronti di chi ha non ha rispetto
per la vita. Propria ed altrui.
Le labbra si atteggiarono ad un sorriso superbo e di sfida quando il gendarme la
trascinò fuori dalla cella[4].
Sì, andava alla morte. Ma chissà quanto ringraziò Dio per quella luce del sole
che poteva finalmente vedere e per quell’aria pura che poteva finalmente
respirare fuori dalla Conciergerie.
Un altro gendarme, quello che normalmente stava di guardia fuori dalla porta
della stanza della regina, si rivolse a Rosalie.
- Cittadina – disse – non andate a vedere l’esecuzione?
- No, cittadino – rispose lei, indifferente mentre risistemava le ultime cose
nel suo cestino – ho altro da fare, devo andare da mio figlio.
Corse fuori da quella stanza che ora pareva opprimerla. I passi frettolosi,
concitati. Tentò di nascondere a tutti le lacrime che ancora stava versando.
Non avrebbe potuto dirlo al gendarme che no, non sarebbe andata all’esecuzione,
perché le pareva una beffa, un’offesa nei confronti di Antonietta; che voleva
ricordarla così, triste ma sorridente, porgerle il suo povero ricamo e la sua
rosa bianca mentre bussava alla sua porta la Morte dalla lama tagliente.
Sospirò.
Si avvicinò al comò. Il ricamo e la rosa erano posati l’uno accanto all’altra e
le parve di avere un pezzettino del cuore gentile di Maria Antonietta in casa
sua.
Quel cuore mite che non aveva saputo reagire e governare un paese in rovina.
“Non le era stato insegnato”, si disse.
Si scoprì affezionata a quella donna che per anni, quando era solo Rosalie La
Moliere, la bambina povera dalla madre ammalata e la sorella ingrata che cercava
lavoro per le strade della Parigi povera, aveva odiato, perché non sapeva
sfamare né curare i suoi figli di Francia.
Si pentì. In fondo, non tutte le colpe erano di Antonietta. Molti erano stati i
suoi sbagli, molti del re, molti della società regolata da obblighi e da
convenzioni assurde, molti del destino che semplicemente si era divertito a
prenderla in giro e ad infierire sulla sua vittima.
Il suo pensiero tornò anche ad Oscar. La bella Oscar in uniforme scarlatta che
la teneva per mano quando la portava con sé ai ricevimenti a corte. Ed il buon
Andrè, dagli occhi verdi e gentili, che le rivelò – forse a lei, per prima –
l’intenso amore che provava per quella strana donna soldato.
E poi ad Alain, chissà dov’era ora…non viveva più a Parigi. Non c’era nulla per
lui per cui valesse risiedere ancora in una città di errori e violenze. Lavorava
vicino al mare, lui, ora? Sì, certamente. Guardava con i suoi occhi il mare ma
in realtà scrutava un punto più lontano, quel punto dove vivevano tutte le
persone care che aveva seppellito con le sue mani…
Ma la realtà era Bernard. Il suo adorato Bernard. Ed il loro piccolo François
che dormiva beatamente nel lettone dei genitori.
- Ti risparmierò i nostri dolori. – Gli disse dolcemente, carezzando il biondo
delle sue chiome.
Riguardò la rosa…
- Ed ora – si disse – è tempo di portarti da loro. Mi spiace Antonietta, neanche
io so di quale colore Oscar preferisse le rose…Ma chissà, forse riuscirò a
scoprirlo…Devo farlo…per la mia madamigella Oscar e per il mio caro amico
Andrè…E poi devo farlo per lei…Per lei…Per la regina di Francia….
Fine
Magda (mail to: doantign@tin.it )