AGONIA
Alzando gli occhi al cielo mi resi conto di quanto le cose fossero immobili, di quanto la vita restasse sempre uguale, di quanto le persone avessero un’immutabilità di fondo irrisanabile. Le ore, i giorni perfino gli anni sembravano ai miei occhi immobili. Ai miei occhi di donna il trascorrere del tempo assumeva quasi una necessità … tutto sarebbe dovuto finire prima o poi, come poter vivere così per sempre? Così mi lasciavo cullare dalla mia agonia, dal mio vuoto e aspettavo sempre la fine, ogni istante trascorso non sarebbe più tornato e questa era la mia unica consolazione.
Mi sentivo vinta e meschina intorpidivo i miei sensi sperando in un attimo di pace che non arrivava mai. Avrei dovuto prevedere meglio i tempi e i movimenti per me sempre immutati ma che quel giorno il destino beffardo scombinò ed io venni sconfitta. Lo scorrere vermiglio della mia anima non ripulì il mio dolore e non lo fece uscire dal mio corpo. Andrè era restato dentro di me, con accanimento, mai sarebbe scivolato via dalle mie vene, mai. Ora lo sapevo. Aveva trovato una piaga nel mio cuore e lì si era fermato, per sempre. Il mio Andrè. Pensare ai suoi occhi su di me equivaleva a morire, di una morte lenta, agognata e talvolta dolcissima, pensare agli angolo della sua bocca chiusa, attenta, vorace di vita mi riempiva l’anima e il cuore di una fame indescrivibile e insaziabile, di momenti non condivisi, di parole non dette, di passioni appena nate che non sarebbero mai cresciute.
La mia voglia di solitudine era diventata essenziale la realtà era impossibile perché inaccettabile nel mio cuore era la vita che continuava malgrado tutto, malgrado la guerra, malgrado la morte, malgrado l’assenza di Andrè. La mancanza di lui era ormai una presenza che mi guardava giorno e notte, scandiva le mie ore, mi svegliava al mattino e mi restava vicino quando la sera disperata mi addormentavo piangendo. Non avevo mai pianto tanto in vita mia..
Quel pomeriggio me ne stavo sola, assorta apparentemente. Ero vigile invece. Tutti fuori, nessun testimone avrebbe presenziato al mio rito la cui preparazione riempì le mie giornate. Mi riscoprivo addirittura sorridente mentre passavo ore nella cura maniacale dei particolari. Anch’io ero vigliacca come gli altri. Avevo vissuto un’esistenza falsa, apparente, imposta nella quale avevo creduto, ignorando completamente ciò che invece avrebbe dovuto contare ma che non vedevo. Ero restata sola perché solo così la mia vita avrebbe avuto senso. Quando sentii tutto quel calore invadermi e la vita abbandonarmi per un attimo nacqui di nuovo e mi sentii di nuovo forte. Andrè mi aspettava, mi tendeva la mano, mi sorrideva. Sentivo il suo odore, il suo tocco lieve, il suo respiro caldo. Caro Andrè dallo sguardo basso, dalle movenze dolci, dalla voce pacata e supplichevole. Caro Amore mio così gioioso, così vero, così mio.. Mio, mio da sempre. La lama attraversò il mio corpo, come fuoco e la mia linfa vitale riprese finalmente a scorrere come un fiume in piena con una tale irruenza che mi sentii dolente. Emozionata come allora.. Il mio cuore batteva all’impazzata tanto da sentirlo nella testa e lui era lì sfiorato dalla luce della luna con la quale lo divisi quella notte. Tutto ciò che conoscevo non esisteva più. Non avevo mai vissuto fino ad allora. Nascevo per la prima volta stordita dall’ebbrezza del suo abbraccio e dalla forza delle sue movenze. Non serviva più combattere e più pensare. La mia mente era svuotata e lui era dentro di me. Finalmente. Per sempre.
Non avrei più potuto tornare indietro perché mai avrei potuto dimenticare quei momenti. Invece la morte me lo aveva strappato ed io l’avevo visto morire piangendo ma l’oscurità non avrebbe vinto. Andrè sarebbe tornato da me e avrebbe ripreso a camminarmi accanto, lento.
Quando riaprii gli occhi mi accorsi che le lacrime scorrevano ancora e che la vita non mi aveva abbandonato. Non aveva voluto lasciarmi andare e con la sua insaziabile volontà mi aveva inchiodato ad essa. Io restai immobile nel mio letto con le mani bloccate e con i polsi recisi e dolenti. Sembravo una bambina alla quale avevano strappato la bambola dalle mani.. ero completamente incapace di comprendere dove avessi sbagliato. Due occhi mi scrutavano increduli e disperati:
- Se non fossi tornata indietro … – mi dissero lacrimevoli.
Io pensai solo alla disperazione delle mie giornate alle quali non ero stata capace di porre fine.
Fine
Daniela L. (mail to: daniela_marco@alice.it )