Il testo qui sotto è tratto da un'edizione del 1954 de "Le Donne della Rivoluzione" di Jules Michelet. Purtroppo il libro non è in mio possesso per cui non so darvi note dettagliate sul volume. Non detengo nessun copyright di contenuto, né di testo.

LUIGI XVI - L'ULTIMO ADDIO ALLA FAMIGLIA

Luigi XVI a vent'anni di Joseph-Siffrein Duplessis - Reggia di Versailles

 

Scrive Lamartine: «Il re al Tempio era in attesa dell’esito della sentenza, e quando andò da lui il vecchio ed animoso Malesherbes, suo difensore, egli se ne stava seduto, coi gomiti appoggiati alla tavola, il viso fra le mani, tutto raccolto in profonde meditazioni. L’accasciato messaggero di morte si gettò in ginocchio ai piedi del suo signore, e rimase così singhiozzando, senza poter pronunciar parola. Il re comprese. Senza dimostrare sgomento, rialzò l’amico e lo strinse affettuosamente al seno, preoccupato non di sé, ma di confortare quella commozione così forte e sincera. Poi, con una curiosità tranquilla, come di chi sia estraneo alla propria sorte, s’informò dei particolari della seduta, chiedendo del voto di alcuni uomini politici di sua conoscenza, e in particolar modo del duca d’Orleans: «Ah! – esclamò poi; - ciò mi addolora più di tutto!».

La regina e le principesse, segregate nelle loro stanze, con l’orecchio sempre attento ai rumori del di fuori, avevano saputo la condanna, e la pena da eseguirsi entro ventiquattro ore, dagli strilloni dei giornali che urlavano la notizia anche nelle vicinanze del Tempio. Ogni speranza era ormai perduta, e l’ansia di quella famiglia non ebbe da quel momento, che un solo voto straziante: poter vedere ancora una volta il loro caro, abbracciarlo, ricevere da lui l’ultima benedizione.

Maria Antonietta, la principessa Elisabetta, Maria Teresa, raccolte, fin dal mattino, nel pianto e nella preghiera, cercavano di interpretare tutti i rumori del Tempio, il via vai degli ufficiali e dei funzionari, e interrogavano i visi dei carcerieri e delle guardie. Solo a tarda ora seppero che un decreto della Convenzione, permetteva loro di poter abbracciare il marito, il padre, il fratello. Fu un raggio in quell’agonia mortale; e a lungo rimasero in piedi davanti alla porta dove il re era in attesa, supplicanti, sfatte dal dolore.

«Luigi – aggiunge Lamartine – benché all’apparenza più calmo, non era nell’intimo meno turbato. Per l’ultimo colloquio fece preparare, d’accordo coi commissari, la stanza da pranzo nella quale si entrava per una porta a vetri che, pur restando chiusa, dava agio ai funzionari e alle guardie di osservare quello che avveniva nell’interno, ma di non sentir le parole. Fu il re stesso che ordinò al suo cameriere di portare delle sedie ed una caraffa d’acqua, raccomandandogli: «Guardate che non sia troppo diaccia[1], perché potrebbe far male alla regina».

La porta alfine si aperse. La regina, tenendo per mano il figlioletto, si slanciò fra le braccia del marito, e fece atto come per condurlo nell’altra camera, fuori dalla vista dei guardiani. «No, no – disse il re, con voce sorda, sorreggendola e stringendola contro il cuore; - non posso vedervi che qui». Madama Elisabetta, la principessa Maria Teresa, tutte in lagrime, abbracciarono il re; Clery rinchiuse la porta. Quelle cinque persone si strinsero in un gruppo pietosissimo: Luigi stava nel mezzo e aveva sedute alla sua destra Maria Antonietta, e a sinistra la sorella; la figliuola, con la testa inclinata, i capelli sciolti, cingeva con le braccia le spalle del padre, e sembrava, nel dolore, quasi ripiegata su di lui; il piccolo Delfino rimaneva seduto sulle sue ginocchia, con un braccio attorno al collo paterno. Così, in uno spasimo di tenerezza, tutti si serravano attorno al morituro, con le teste nascoste sul suo petto, le braccia intrecciate, uniti e palpitanti nelle carezze; erano frasi balbettate, singhiozzi, gemiti e qualche grido lacerante di quelle cinque anime unite in una sola. Per più di mezz’ora nessuna parola poté uscire dalle loro labbra; poi si svolse un colloquio a bassa voce, interrotto di tanto in tanto da baci appassionanti, da abbracci, da nuove crisi di pianto. Nessuno, al di fuori, intese le confidenze del re nel suo ultimo giorno; ne spegnevano presto il ricordo le tempo insanguinate di Maria Antonietta e di Elisabetta, ed il tragico ed oscuro destino del piccolo re che non doveva regnare. Solo la figlia, Maria Teresa, ne conservò la traccia nelle sue memorie, e più tardi volle rivelare tutto ciò che l’amore di un padre, la coscienza di un morente, la volontà di un re, disse ai suoi cari in quell’ora suprema, quand’era così vicino a Dio…».

I commissari, al di là della porta a vetri, gettavano, di tanto in tanto, occhiate furtive come per avvertire Luigi che l’ora era già trascorsa.

Quando i cuori furono spossati, le lagrime essiccate dal gran piangere e tutto le forze esaurite, si ebbero gli ultimi baci angosciati e convulsi. La regina si gettò ai piedi del marito, supplicando che le permettesse di rimanere presso di lui in quella notte estrema. Luigi non volle. Temeva che quella pena prolungata fosse superiore alle forze della moglie; asserì che egli stesso aveva bisogno di rimanere tranquillo per poter radunare tutte le sue energie per l’indomani. Promise che l’avrebbe fatta chiamare alle sette del mattino seguente. «Lo promettete?» «Ve lo prometto!» rispose l’infelice, con una menzogna piena di amorosa pietà.

Nell’attraversare l’anticamera Maria Antonietta, Elisabetta, Maria Teresa, tutte insieme, cinsero con un ultimo abbraccio il condannato a morte, mentre il piccino, con una mano in quella del padre e l’altra in quella della madre, alzava anch’egli il viso lagrimoso riguardando i genitori.

Così lentamente si diressero sulla soglia, dove, con nuovi lamenti raddoppiati e strazianti, avvenne il distacco ultimo: «Addio! Addio!» gridò il re, con una voce nella quale si sentiva l’angoscia di una eterna separazione, ma anche la speranza del credente che confida nella vita futura..». In quel momento la principessa svenne; Clery, la zia, la regina, si precipitarono su di lei per rialzarla, mentre Luigi, coprendosi il viso con le mani, ritornava solo nella stanza del colloquio, dando un ultimo addio, rotto dai singhiozzi.. E corse nella stanza superiore dove l’attendeva il confessore. L’agonia della regalità era già passata».


 

[1] Leggi “Ghiacciata, fredda” (n.d. Cetty)