I deputati ricevevano felicitazioni da Parigi
e da altre città, e incoraggiamento a proseguire nella loro opera di
rigenerazione della nazione. Intanto le truppe, in gran numero, venivano fatte
giungere sul posto. Versailles prendeva l'aspetto di un campo di battaglia, la
sala degli Stati era sempre circondata da guardie e l'ingresso inibito ai
cittadini. Parigi stessa era circondata da vari corpi d'armata che sembravano
appostati per poter, in caso di bisogno, bloccare la città. Questi enormi
preparativi militari, i treni di artiglieria venuti dalla frontiera, la presenza
di reggimenti stranieri la cui obbedienza era senza limiti, facevano presagire
sinistri avvenimenti. La popolazione era inquieta e agitata. [...]
Parigi era in fermento. Questa città immensa era unanime nella sua devozione
all'assemblea. I pericoli da cui i rappresentanti della nazione erano
minacciati, i suoi stessi pericoli e la scarsezza di viveri, tutto preludeva una
sommossa. [...]
Dappertutto, all'aria aperta, sulle piazze, per le vie, si discutevano le
deliberazioni. L'assemblea parigina si teneva principalmente al Palais-Royal il
cui giardino era sempre pieno di una folla che sembrava stazionaria ma che
invece si rinnovava incessantemente. Una tavola teneva luogo di tribuna; il
primo cittadino che capitava, serviva da oratore. Di là si arringava la folla
sui pericoli che correva la patria e si incitava il popolo alla resistenza. Già,
su una proposta partita dal Palais-Royal, le prigioni dell'Abbazia erano state
forzate e i granatieri della guardia francese che vi erano rinchiusi condotti in
trionfo. La cosa non aveva avuto altro seguito: una deputazione aveva
sollecitato l'interesse dell'assemblea in favore dei granatieri e l'assemblea li
aveva raccomandati alla clemenza del re. Le guardie furono rimesse in prigione e
poi graziate, ma il reggimento, uno dei più compatti e più valorosi, fu da quel
momento guadagnato alla causa popolare. [...]
L'indomani, domenica 12 luglio, si sparse la voce a Parigi della disgrazia di
Necker e del suo esilio. Questa misura fu considerata come l'inizio del
complotto, del quale si erano intravisti i preparativi. Degli assembramenti si
formavano in ogni luogo, più di diecimila persone si recarono al Palais-Royal,
disposte a tutto, ma non sapendo quale direttiva prendere. [....]
Un corteo si forma e corre tumultuoso dallo scultore Curtius. Lì i busti di
Necker e del duca di Orléans, di cui si diceva prossimo l'esilio, sono ravvolti
in veli scuri e portati in trionfo. Il corteo attraversa le vie San Martino, San
Dionigi, Sant'Onorato e s'ingrossa ad ogni passo. Il popolo fa togliere il
cappello ai passanti che fanno ala al corteo. La pattuglia a cavallo passa in
quel momento e il corteo la prende per scorta. Il corteo si avanza solenne verso
la piazza Vendome, dove i due busti sono portati in trionfo intorno ala statua
di Luigi XVI. Un distaccamento del Reale-Alemagna arriva e tenta disperdere i
dimostranti, ma viene messo in fuga a colpi di pietra e il corteo, continuando
la sua via, arriva fino alla piazza Luigi XV. Lì vi sono ad attenderla i dragoni
del principe di Lambesc. La folla tenta resistere all'attacco, ma viene tosto
sopraffatta. Un soldato della guardia francese e uno dei portatori delle statue
vengono uccisi, la popolazione si disperde: una parte si dirige verso i
bastioni, il resto si precipita per il ponte Tornant, alle Tuilleries. Il
principe di Lambesc la insegue con la sciabola sguainata, seguito dai dragoni
fin nei giardini e carica la folla ignara che non faceva parte del corteo e
passeggiava pacificamente nei giardini. In questa carica un vecchio è ferito da
una sciabolata. Ci si difende perfino con le sedie, l'indignazione è generale e
il grido "Alle armi!" risuona dappertutto alle Tuileries, al Palais-Royal, in
città e nei sobborghi.
Il reggimento delle guardie francesi che, come abbiamo detto, era assai ben
disposto verso il popolo, era consegnato in caserma. Il principe di Lambesc,
temendo tuttavia che potesse in qualche modo prender parte ai disordini, ordina
a sessanta dragoni di andarsi a mettere alle porte della caserma. Le guardie,
già malcontente di esser tenute in caserma come prigionieri alla vista di quegli
stranieri coi quali avevano avuto una rissa qualche giorno avanti, vogliono
slanciarsi fuori e occorre tutta l'autorità degli ufficiali per farli desistere
dal loro proposito. Ma quando giunse la notizia che un vecchio e uno dei loro
erano stati uccisi nella carica alle Tuileries afferrarono le armi, ruppero le
cancellate e si misero in ordine di battaglia alla porte della caserma, di
fronte ai dragoni gridando loro: "Chi va là?" "Reale Alemagna!" risposero
quelli, "Siete per il terzo stato?" "Siamo per coloro che ci danno degli
ordini!" fu la risposta. Allora le guardie francesi scaricarono i loro fucili
uccidendo due dragoni, ferendone tre e mettendo il resto in fuga. Avanzarono
quindi a passo di carica con la baionetta spianata fino alla piazza Luigi XV, si
piazzarono fra le Tuileries e i Campi Elisi e tennero quel posto durante tutta
la notte. I soldati del Campo di Marte ebbero nello stesso momento l'ordine di
avanzare, ma quando arrivarono all'altezza dei Campi Elisi furono ricevuti a
colpi di fucile dalle guardie francesi. Fu quindi ordinato loro di caricare, ma
si rifiutarono. I Piccoli Svizzeri furono i primi a dare l'esempio seguito tosto
dagli altri reggimenti. Gli ufficiali, disperati, ordinarono allora la ritirata
e le truppe retrocessero fino al cancello di Chaillot, di dove poi si dispersero
nel Campo di Marte. La defezione delle guardie francesi e il rifiuto di
obbedienza dei reggimenti stranieri, fecero abortire i progetti della Corte.
[...]
"Camerati!" gridò allora un vecchio "Non ci curiamo di quei traditori. Seguitemi
e fra due ore la Bastiglia sarà nelle nostre mani!". L'assedio durava da oltre
quattro ore quando le guardie francesi arrivarono con un cannone. Il loro arrivo
fece cambiar faccia alla situazione. La stessa guarnigione pregò il governatore
di arrendersi. Il disgraziato Delaunay, temendo quello che lo attendeva, volle
fare saltar la fortezza per rimanere sepolto sotto le rovine. Avanzò allora con
atto disperato recando in mano una miccia accesa, e si appressò al deposito
delle polveri. La guarnigione lo fermò, innalzò la bandiera bianca sulle mura e
rovesciò i fucili con la canna verso terra in segno di resa.
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